Era sette mesi prima che esplodesse il caso di Bibbiano. Malgrado il legale che curava la vicenda fosse l’arcinoto avvocato Miraglia, malgrado egli si facesse in quattro bombardando redazioni e social di comunicati e denunce, a parte me in questo spazio su ilfattoquotidiano.it, nessuno si degnò di parlare della vicenda del piccolo Marco di Verona.

Un bambino di tre anni che aveva cambiato casa quattro volte. Lasciato solo pochi mesi alla madre ex tossicodipendente – anche se con lei in una comunità – era stato affidato ai nonni materni. Poi tolto anche a loro, perché accusati di non voler fare l’improponibile scelta di voler bene al piccolo o alla figlia. Accolto da una coppia affidataria era quindi stato tolto anche a questa, perché aveva rapporti di conoscenza con la famiglia d’origine, in spregio alla legge che in realtà quei rapporti li suggerisce e perfino impone. Messo in casa famiglia, a ridosso delle feste di Natale, per essere reso adottabile.

Vennero organizzati comitati. Sotto le finestre del Comune di Verona venne organizzata una fiaccolata per chiedere al sindaco della città scaligera e all’assessore ai servizi sociali, semplicemente di fare una verifica sull’operato dell’assistente sociale che aveva stilato tutte le relazioni.

L’avvocato Miraglia continuò a denunciare e inviare comunicati. Chi scrive, continuò a farlo.

Il risultato sono stati sette mesi di silenzio, con Marco in casa famiglia. Sette mesi, cioè un quinto della sua vita.

Oggi, mentre tutta Italia è giustamente sconvolta per i fatti di Bibbiano, mentre una parte d’Italia è meno giustamente impegnata ad attribuire a tutti i costi una valenza politica quell’orrore, mentre un’altra parte ancora tace, dando quindi valore alle strumentalizzazioni, a Marco è stato revocato lo stato di adottabilità e quindi la permanenza in casa famiglia. Un risultato a metà – come lo stesso legale della famiglia ha sostenuto – perché il bambino è tornato non dai nonni, ma dalla coppia affidataria.

A Marco qualcuno dovrà spiegare perché sette mesi prima quella condizione non andava più bene e adesso sì. Qualcuno dovrà anche spiegargli perché ora i genitori affidatari dovranno stare comunque attenti a non avere rapporti troppo stretti con i suoi nonni e perché la sua vita continui comunque ad essere appesa al filo dell’incertezza, anche se ha un madre che è ormai uscita dalla droga e si sta ricostruendo un vita, anche se ha dei nonni che lo avevano accudito con amore.

A noi qualcuno dovrà invece spiegare altro.

Perché mentre perfino dei cantanti lanciavano appelli affinché si “parlasse di Bibbiano”, Marco rischiava di essere uno dei tanti bambini che scompaiono nel sistema dell’ “infanzia di Stato”. Perché addirittura qualche sera fa nel centro di Verona, esponenti dell’amministrazione comunale abbiano pensato bene di manifestare “contro Bibbiano”, ma erano stati totalmente assenti sulla vicenda di Marco.

Forse un’altra Bibbiano già c’è, se è vero che in Veneto viene allontanato dalle famiglie lo stesso numero di minori della famigerata Emilia Romagna. Circa duemila, come rilevato dall’interrogazione fatta in Regione dal Consigliere del Movimento 5 Stelle Manuel Brusco. Numero evidentemente fino ad ora sconosciuto al governatore leghista Luca Zaia, oppure solo ora giudicato degno di qualche verifica, visto che ha fatto eco al suo leader di partito Salvini nell’annunciare una commissione d’inchiesta, anche territoriale.

Meglio tardi che mai? Certamente, ma rimane il fatto che fino ad ora si sono consumati nel silenzio più totale chissà quanti casi come quello di Marco e che – anzi – quando qualcosa era stato detto da chi oggi dichiara di volere chiarezza, era esattamente del senso opposto.

Era il 29 maggio del 2018, quando l’assessore regionale dichiarava che “L’affido di un minore resta la via privilegiata per affiancare un ragazzino e la sua famiglia in situazioni di difficoltà” e annunciava lo stanziamento di sette milioni di euro per le case famiglia e le famiglie affidatarie. Il Veneto è l’unica regione di cui si conosca il dato attuale degli affidi, ma è appena un poco superiore a quello – noto a livello nazionale – del 2013. I minori fuori dalle famiglie erano quasi duemila anche nell’allora leghista Piemonte, oltre quattromila nella Lombardia amministrata dal centrodestra, con numeri alti in Campania e Sicilia, governate della sinistra.

A dimostrazione che chi chiude gli occhi lo fa a prescindere dall’appartenenza politica, ma se poi aspetta l’occasione per scandalizzarsi a comando, lo fa in virtù dell’appartenenza al grande partito degli ipocriti.

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