“Nell’ultima votazione del conclave del 2013 avviene un fatto singolare. Al momento dello scrutinio su una scheda si legge il nome ‘Bertoglio’. Al che i cardinali discutono su colui a cui attribuire quel voto: “A Bertello, Bertone o Bergoglio?”. “Il voto per il pupo e i suoi due padrini“, commenta un porporato che confida di aver sempre votato per Scola durante tutto il conclave. Alle fine il voto per ‘Bertoglio’ non viene attribuito. Questo è solo uno dei tanti retroscena, finora inediti, dei conclavi del 2005 e del 2013 svelati da Francesco Antonio Grana, vaticanista de ilfattoquotidiano.it, nel suo ultimo libro intitolato Extra omnes (Elledici). Il giornalista ripercorre tutte le fasi che hanno portato prima all’elezione di Joseph Ratzinger e poi a quella di Jorge Mario Bergoglio rivelando, in entrambi i casi, il momento in cui i due cardinali hanno capito che sarebbero stati eletti Papa.

Della Sede Vacante del 2005, Grana racconta anche il sondaggio che fu fatto da alcuni porporati elettori, due giorni prima dell’inizio del conclave, per verificare se Ratzinger, nel caso di elezione, avesse accettato. La risposta dell’allora cardinale decano fu eloquente benché inascoltata: “Non pensate a me”. Della Sede Vacante del 2013, invece, il vaticanista ripercorre tutti i momenti della votazione finale. “Appena eletto, – scrive l’autore – l’arcivescovo di Buenos Aires si dirige prima verso il suo sfidante Angelo Scola per abbracciarlo. E poi verso il cardinale Ivan Dias, l’unico porporato presente in conclave sulla sedia a rotelle. Si china sul confratello indiano e lo abbraccia. Subito dopo, il Papa entra nella ‘stanza della lacrime’, alla sinistra guardando l’altare della Cappella Sistina, con monsignor Guido Marini e un cerimoniere pontificio, monsignor Piero Stefanetti. Rifiuta di indossare le scarpe rosse, la camicia coi gemelli, il rocchetto ricamato, la mozzetta rossa di ermellino, il crucicordo dorato con appesa la croce d’oro e la stola rossa papale”.

Ma, prosegue il racconto di Grana, “il tempo della vestizione dura più del solito, al che il cardinale Giovanni Battista Re, che aveva guidato il conclave, chiede al cerimoniere pontificio che era rimasto nella Cappella Sistina di bussare alla porta della ‘stanza delle lacrime’. Il cerimoniere bussa, ma dall’interno nessun segno. ‘Monsignore – incita Re -, bussi, bussi più forte. Il mondo aspetta il nuovo Papa’. Bergoglio esce vestito semplicemente con la talare bianca e al collo ha la sua croce pettorale, la stessa che ha sempre portato a Buenos Aires e che continua a tenere tuttora. Ha semplicemente staccato il crucicordo cardinalizio, quello rosso e dorato, e ha attaccato la sua croce alla vecchia catena di metallo. Se l’era messa nella tasca della talare prima di lasciare la stanza assegnatagli a Casa Santa Marta per salire sul pullman che lo avrebbe portato nella Cappella Sistina per le votazioni finali del conclave. A dimostrazione che Bergoglio, quel pomeriggio, era consapevole che sarebbe stato eletto Papa. I cardinali lo fissano intensamente e si mettono in fila per l’atto di obbedienza. Francesco resta in piedi, senza sedere sul trono collocato al centro subito sotto il Giudizio universale di Michelangelo”.

“Nel frattempo, – scrive ancora il vaticanista – un cerimoniere pontificio apre le porte della Cappella Sistina e rivolto ai presenti che attendevano all’esterno, nella Sala Regia, e che ancora ignoravano chi fosse stato eletto, senza svelare il nome del nuovo Papa profeticamente afferma: ‘Non è cambiato un mondo. È cambiato il mondo’. L’allora sostituto della Segreteria di Stato, monsignor Giovanni Angelo Becciu, entra nella Sistina ma non riesce a vedere dal fondo il neo eletto. Mentre guarda i possibili candidati della vigilia e li vede tutti ancora vestiti di rosso, si sente afferrare il braccio. È il cardinale Antonio Maria Vegliò che gli domanda: ‘Eccellenza, cosa ha fatto il Milan ieri sera?’. ‘Ha vinto, Eminenza’, replica Becciu che domanda: ‘Ma chi avete eletto?’. ‘Bergoglio’”.

Un’ampia parte del volume è dedicata anche al tema sempre scottante delle dimissioni dei Papi, da Pio XII a Francesco. Pacelli, infatti, temendo di poter essere arrestato da Hitler durante la Seconda guerra mondiale, scrisse le sue dimissioni che sarebbero diventate effettive soltanto se fosse stato catturato dai nazisti. Pio XII disse esplicitamente che in quel caso sarebbe ritornato cardinale. Posizione, come è noto, non condivisa da Benedetto XVI che, dopo le dimissioni, ha preferito scegliere l’inedito titolo di Papa emerito continuando a vestirsi di bianco e ad abitare in Vaticano. Diverso è il caso di San Paolo VI che più volte durante il suo pontificato meditò di lasciare il trono di Pietro e scrisse due lettere di dimissioni qualora fosse diventato inabile e non avrebbe potuto più continuare a governare la Chiesa. San Giovanni Paolo II meditò a lungo se fare lo stesso, anche per l’inesorabile progredire del morbo di Parkinson di cui era affetto. Ma alla fine, dopo aver consultato riservatamente diversi cardinali suoi collaboratori nella Curia romana, decise di restare. Bergoglio non ha mai avuto nessuna difficoltà a rispondere a chi gli ha chiesto cosa farebbe se non se la sentisse più di andare avanti: “Farei la stessa cosa di Benedetto! Pregherei molto, ma farei lo stesso”.

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