Un salto nel vuoto senza rete di protezione. Così in molti, nel centrodestra e non solo, descrivono la mossa con cui Giovanni Toti ha rovesciato il tavolo uscendo, di fatto, da Forza Italia dopo mesi da separato in casa. Soprattutto perché – i suoi fedelissimi lo confermano – non era questo il momento pensato per l’addio: le polemiche dei giorni scorsi servivano a preparare le dimissioni dal ruolo di coordinatore, per poi giocare il ruolo del dissidente interno al partito ancora per qualche mese, lavorando, nel frattempo, ad un nuovo soggetto elettorale. Piano impedito dalle contromosse di Silvio Berlusconi, che in poche ore ha messo all’angolo l’ex consigliere politico: prima lanciando il progetto “Altra Italia” rivolto alla galassia di centro, il contrario dell’intesa con Salvini e Meloni propugnata da Toti; e poi, nel pomeriggio di venerdì, “licenziandolo” da coordinatore attraverso una nota stampa, senza nemmeno aspettare la fine della riunione in cui dovevano formalizzarsi le dimissioni. Così l’ex volto di Mediaset si è trovato costretto a rilanciare, anche mediaticamente, sbattendo la porta: “Ognuno per conto suo, buona fortuna a tutti”, ha detto ai giornalisti all’uscita della sede di San Lorenzo in Lucina. E c’è già chi vede Toti destinato al dimenticatoio politico, insieme agli altri due ex delfini che negli anni passati hanno sfidato il Cavaliere: Gianfranco Fini e Angelino Alfano, che pure se ne andarono portando con sé numeri – e nomi – ben più importanti. Non è detto che vada così, anche se c’è ancora molta incertezza su chi davvero sarebbe disposto a seguire Toti in questa nuova esperienza.

Il piano iniziale, quello di dar vita a una sorta di “movimento dei governatori”, è naufragato per i forfait decisivi del piemontese Alberto Cirio e del siciliano Nello Musumeci. Nonostante i buoni rapporti con Toti, nessuno dei due ha scelto di presentarsi alla convention. “L’Italia in crescita” del 6 luglio scorso al teatro Brancaccio di Roma, la rampa di lancio del nuovo soggetto. Anche se non mancano ipotesi più ottimistiche, in Parlamento la pattuglia “totiana” può contare sicuramente su otto deputati (Manuela Gagliardi, Osvaldo Napoli, Claudio Pedrazzini, Daniela Ruffino, Giorgio Silli, Alessandro Sorte, Stefano Benigni e Vittorio Sgarbi) e quattro senatori (Massimo Berruti, Paolo Romani, Gaetano Quagliariello e Luigi Vitali). Se così fosse saremmo sotto alle soglie minime – 20 alla Camera, 10 al Senato – necessarie per dar vita a gruppi autonomi. Anche i primi sondaggi non sorridono all’ex direttore di Studio Aperto: una rilevazione commissionata da Berlusconi in persona a Renato Mannheimer ha stimato il nuovo partito non oltre il 2% dei consensi. “Toti non riesce ad avere né un’identità politica in grado di drenare consensi al leghisti, che insisterebbero su Salvini, né una fisionomia moderata capace di attrarre i forzisti, sostanzialmente ancora legati a Berlusconi”, ha spiegato il sondaggista a Il Secolo XIX. L’istituto Piepoli, invece, accredita una nuova forza guidata da Toti al 4% circa, un valore comunque troppo basso per spostare gli equilibri nel centrodestra.

Nemmeno nella sua Liguria, dove spera di attingere più consensi, il governatore può contare su endorsement di rilievo. Parte, anzi, gravemente azzoppato dalla rivalità con Claudio Scajola, sindaco di Imperia ed ex ministro di Berlusconi, ras incontrastato della Riviera dei Fiori. La storica diffidenza tra i due si è esacerbata lo scorso anno, con il rifiuto di Toti di sostenere Scajola nella corsa alle comunali. Ma anche chi gli è più vicino, come l’ex presidente della Regione Sandro Biasotti, ha accolto con freddezza lo strappo: “Non so cosa sia successo, anche perché mi sembra che il mio partito abbia iniziato un importante percorso di rinnovamento con primarie aperte. Sono profondamente dispiaciuto di questa rottura che spero sia solo momentanea e che nei prossimi giorni cercherò di analizzare meglio”, dichiara, in un chiaro invito a ricucire. Dopo un’iniziale sintonia si è defilato anche il sindaco di Rapallo Roberto Bagnasco, mentre con quella di Savona, Ilaria Caprioglio – già “totiana” di ferro – i rapporti sono logori da tempo. Al momento, in Forza Italia, Toti può dare per scontato solo l’appoggio dei membri della sua giunta: l’assessore alla Comunicazione Ilaria Cavo, quello all’Urbanistica Marco Scajola (nipote di Claudio) e quello alle Infrastrutture Giacomo Giampedrone. Anche uno dei due consiglieri regionali azzurri, Angelo Vaccarezza (ma non l’altro, Claudio Muzio), dovrebbe aderire al nuovo partito, oltre a Lilli Lauro della lista Toti. Un po’ poco, se si considera che l’obiettivo era svuotare le fila del partito a livello regionale.

Un soccorso inaspettato per Toti potrebbe arrivare da Mara Carfagna, finora considerata la sua alter ego “moderata” all’interno di Forza Italia. L’ex ministra alle Pari opportunità non ha gradito la mossa berlusconiana di inserirla, senza consulto, nel nuovo coordinamento nominato nel pomeriggio di venerdì per esautorare Toti. “Nessuno mi ha chiesto di far parte di questo coordinamento e non intendo farne parte – ha detto – è una scelta in direzione esattamente contraria alle intenzioni che mi ha manifestato Berlusconi. Credo che questo sia il modo migliore per uccidere Forza Italia e io non farò parte del comitato di liquidazione”. Così ora non è escluso che i due ex-coordinatori azzurri possano ritrovarsi insieme nella costruzione di un soggetto alternativo. D’altra parte, almeno per Toti, la prospettiva di rientrare nei ranghi sembra ormai inverosimile: i rapporti con Berlusconi sono azzerati da mesi, con l’ex Cavaliere che si è spinto – pare – ad attivare il proprio entourage per scoraggiare la partecipazione all’incontro del Brancaccio. Di più si saprà a settembre, quando il governatore partirà in tour per tutta Italia a presentare la nuova creatura. Il nome, questo è certo, dovrà evocare l’idea di crescita – “Cresciamo insieme” è una delle ipotesi sondate – e il colore sarà l’arancione. In grado, spera Toti, di coprire del tutto l’azzurro.

Twitter: @paolofrosina

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