di Andrea Masala

Qualche anno fa, quando era famoso e potente (e aduso alle cabine di regia poliziesche a Genova sebbene non ne fosse ministro), Gianfranco Fini fu portato da alcuni poliziotti a fare immersioni in un posto di mare vietatissimo. Pensai allora al carattere doppio dei italiani verso il potere: antipolitico alla distanza e collettivamente (so’ tutti ladri…è tutto un magnamagna…) e servile individualmente e in prossimità. Servile e clientelare: si favoriscono i politici per aspettarsi un favore di riporto. Racconto di Fini perché mi colpì, ma questo malcostume ha attraversato l’intero ceto politico con pochissime eccezioni, fino alla moto d’acqua della Polizia e Salvini.

Ma mentre i politici di cultura socialdemocratica o liberal-democratica coinvolti in questi episodi perdono consenso, quelli populisti di destra (con diverse gradazioni da Berlusconi a Fini a Salvini) no, perché il loro comportamento è coerente col loro messaggio politico, con la loro constituency reale: il clientelismo che sostituisce la cittadinanza democratica, lo scambio di favori come rapporto servo-padrone (in cui il servo non si sente tale perché gli si dà in pasto uno più servo da odiare e discriminare), la Cosa pubblica come cosa da predare privatisticamente. È il particulare di Guicciardini come leva sovrana.

Il “popolo” ha una sua astuzia storica, anche il popolo più (momentaneamente, storicamente) forcaiolo e incline all’indignazione morale (perché stimolato storicamente su questo in positivo e/o in negativo) differenzia il suo atteggiamento a seconda del tipo di politico e di politica: davanti al politico che parla di bene comune e stato di diritto si indigna e lo mette alla gogna per la sua non coerenza, davanti al politico che col suo comportamento privatistico allude alla possibilità che tutti possano privatizzare un pezzo di Cosa pubblica (evadendo il fisco, costruendo dove è vincolato, parcheggiando in terza fila, smantellando scuola e sanità, condonando abusi, sversando liquami e rifiuti…) invece empatizza sapendo che quel politico sta di fatto proponendo uno scambio e un modello sociale.

Non sono due popoli contrapposti, due italie irriducibili l’una all’altra (questo c’è ma in minima parte): questo doppio atteggiamento alberga nello stesso popolo, nello stesso individuo, nello stesso corpo. Ed è perfino un indizio di maturità storico-politica nei confronti di un potere (dico proprio di uno Stato) che ha costitutivamente un doppio atteggiamento e che non ha mai saldato come “religione civile” il culto della cosa pubblica e del bene comune. Perfino nel caso estremo delle forze dell’ordine, protagoniste sia nel caso di Fini che in quello di Salvini, che i populisti di destra coltivano come corpi corporativi, “privatistici” e decostituzionalizzati, senza fedeltà alla Repubblica ma al potente di turno. Polizia non come bene comune ma come corpo legibus solutus, che fa rispettare la legge non rispettandola, cosa che purtroppo corrisponde a un sentiment diffuso tra diversi corpi dello Stato, e che fa percepire questo tipo di politici come “protettori” e “uno di noi”.

È questo il terreno da dissodare per ricostruire, seguendo la Costituzione e le nuove insorgenze sociali, per sconfiggere i populismi di destra. Bene denunciare gli scandali dei rubli o delle moto d’acqua, ma queste denunce devono poggiare su un fondo politico che parli di rilancio dello spirito pubblico e del bene comune, incarnato da un ceto politico e sociale coerente, determinato e senza cedimenti.

Ad occhio è quello che si aspetta sia l’elettorato del Pd sia quello del M5S.

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