“Dopo aver lasciato il carcere combatterò con tutti i cittadini di Hong Kong contro questa malvagia legge sulle estradizioni in Cina”. Sono state queste le prime parole dopo essere stato scarcerato di Joshua Wong, uno degli studenti leader del “movimento degli ombrelli” che nel 2014 bloccò la città per 79 giorni. Lo studente si unirà alle proteste dei cittadini Hong Kong che da giorni si oppongono a una legge sulle estradizioni che potrebbe aumentare la pressione della Cina sul territorio semi autonomo. Domenica 16 giugno, nonostante l’annuncio della sospensione a tempo indeterminato della legge, un corteo di quasi due milioni di persone, nelle stime degli organizzatori del Civil Human Rights Front, ha sfilato pacificamente nel centro della città. I manifestanti non chiedono solo il ritiro completo della legge, ma anche le dimissioni della governatrice di Hong Kong, Carrie Lam.

Nelle prime dichiarazioni alla stampa, Wong ha affermato che la governatrice “non è più qualificata per essere la leader di Hong Kong. Deve riconoscere le sue colpe e dimettersi, farsi carico delle sue responsabilità e lasciare”. Wong, 22 anni e in prigione da maggio, è stato liberato in anticipo usufruendo dei benefici della buona condotta, ma non è chiaro se la decisione sia in qualsiasi modo collegata alle attuali proteste. Ci vorrà un po’ di tempo, ha ribadito Wong, ma “non importa cosa succede perché mi unirò alle proteste presto”. Questa mattina, la polizia ha sgomberato senza tensioni alcune centinaia di attivisti rimasti vicino alla sede del governo durante la notte, dopo la massiccia manifestazione di ieri. Ma la protesta non si ferma. Oggi è stato indetto uno sciopero generale di lavoratori, insegnanti e studenti e i manifestanti si stanno spostando di nuovo verso le sedi istituzionali dell’ex colonia britannica.

Nei giorni scorsi, gli scontri tra manifestanti e polizia hanno causato quasi 80 feriti, tra cui un ventina di poliziotti. I manifestanti hanno lanciato bottiglie incendiarie ed eretto barricate e le forze dell’ordine hanno usato proiettili di gomma, gas urticante, cannoni ad acqua e lacrimogeni. Il 15 giugno la governatrice Lam aveva annunciato la sospensione della legge: “Sarà rinviata. Questa legge sull’estradizione è giusta e giustificata. Ma abbiamo ascoltato la gente e la società, abbiamo introdotto numerosi emendamenti durante il dibattito, abbiamo fatto un grande sforzo. Comunque, la legge ha creato grandi divisioni nella nostra società, per colpa di malintesi”. I due milioni di manifestanti del 16 giugno (400mila secondo le autorità) chiedono anche un’indagine imparziale sull’uso della forza da parte della polizia durante gli scontri di mercoledì con i manifestanti e la revoca della descrizione ufficiale di quella protesta come una rivolta illegale, status che potrebbe esporre chiunque arrestato durante la manifestazione a scontare fino a 10 anni di carcere.

Le scuse tardive della governatrice, che ha promesso “di avere un’attitudine più sincera e umile nell’accettare le critiche e i miglioramenti in modo da poter servire il pubblico”, sono arrivate solo dopo una mobilitazione che ha radunato quasi il 30% circa dell’intera popolazione di Hong Kong. L’opposizione alla legge sull’estradizione ha unito nelle ultime settimane un campione insolitamente ampio della città, da influenti organismi legali e commerciali a leader religiosi. E mentre la scintilla dell’ultima settimana di proteste è stata la minaccia di estradizione in Cina, il movimento si è trasformato nell’ultima espressione di rabbia pubblica contro i leader della città e Pechino.

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