C’è un algoritmo segreto usato per analizzare le richieste di visto d’ingresso nel Regno Unito. A scriverlo è il Financial Times che svela come il governo britannico, e in particolare il ministero dell’Interno, elabori tutte le richieste in modo automatico, rischiando così di discriminare i richiedenti. L’algoritmo è stato pensato da programmatori ed è quindi possibile che vengano introdotti, anche involontariamente, criteri che possano svantaggiare determinate categorie di persone.
Il ministero dell’Interno non ha reso pubblica alcuna informazione sull’uso dello strumento, venuto alla luce grazie a un gruppo di avvocati che l’ha scoperto per caso durante una visita nel centro di elaborazione dei visti di Sheffield. Il ministero si è inoltre rifiutato di fornire dettagli sui fattori di rischio o su quanto regolarmente l’algoritmo viene aggiornato, perché teme che questo possa incoraggiare azioni fraudolente. Ha chiarito, però, che gli operatori controllano sempre la procedura per assicurarsi che rispetti i requisiti delle norme sull’immigrazione.
Sono più di tre milioni e mezzo i cittadini europei che vivono nel Regno Unito e che, in vista della Brexit, dovranno richiedere il permesso. Il processo di digitalizzazione si inserisce, quindi, nell’enorme aumento di burocrazia causato dall’uscita dall’Unione Europea. Ma l’algoritmo riguarda, in generale, tutte le richieste di visto di ingresso nel Paese: per studio, visita, lavoro.
Secondo Christina Blacklaws, la presidente della Law Society, che rappresenta gli avvocati in Inghilterra e in Galles, intervistata dal Financial Times, il processo decisionale algoritmico potrebbe discriminare determinati gruppi di persone sulla base dell’età, del Paese di provenienza o di transito. “Esiste il rischio reale di un dispiegamento illegale o di discriminazioni e pregiudizi – afferma – che possono essere incorporati involontariamente in un algoritmo o introdotti da un operatore”.
Sul tema verrà probabilmente pubblicato, a giugno, un rapporto dell’ispettore capo delle frontiere, che già nel 2017 si era espresso contro il sistema di analisi dei visti. Secondo l’ispettore c’era il rischio che il processo digitale di analisi diventasse uno strumento decisionale “de facto” e che non tenesse conto della parzialità di conferma dell’operatore che controlla il processo.
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