L’Unione Europea e il “Piano Marshall” contro le migrazioni verso i territori comunitari. Dove non arrivano le promesse e le repressioni, riescono i finanziamenti a fondo perduto. Ieri la Turchia, oggi il Marocco e in mezzo la strategia italiana per la Libia. L’accordo preso da Bruxelles col presidente turco Recep Tayyip Erdogan nel 2016, un giochetto da 6 miliardi complessivi in due tranche, ha aperto la strada a collaborazioni di interesse sul fronte dei flussi migratori. Al tempo il problema era la cosiddetta “invasione” di siriani e iracheni, in fuga da guerre copia e incolla giunte al loro climax di violenza, a cui si univano le carovane di afghani, pakistani e bengalesi e gli abitanti del Corno d’Africa in arrivo da sud. A centinaia di migliaia ammassati sulla costa occidentale della Turchia tra Bodrum, Cesme e Ayvalik, nella provincia di Smirne, pronti a rischiare la vita per superare il braccio di mare che li separava dalle isole greche, da Lesvos a Chios. Con quei soldi Ankara ha rimarginato l’emergenza, bloccando il flusso di gommoni e bagnarole e, soprattutto, costruendo 26 campi profughi sul confine meridionale dove sono stati accolti milioni di siriani. Oggi, in città come Gaziantep, Hatay, Adana e Sanliurfa il turco si mescola all’arabo.

Il Marocco non è la Turchia, i numeri sono differenti, da qui un investimento molto inferiore, ‘appena’ 140 milioni di euro. Di questi, già 30 sono defluiti nelle casse del governo di Rabat all’inizio di quest’anno, con l’obiettivo, quanto meno, di rallentare il passaggio di migranti subsahariani e maghrebini in Spagna, la frontiera sud-occidentale del continente Europa. Anche qui, i risultati non hanno tardato ad arrivare, dopo un gennaio di sbarchi da record. Nei primi quattro mesi del 2019, oltre 7.200 persone hanno compiuto il passaggio in Spagna, duemila in più rispetto allo stesso periodo del 2018, concentrati soprattutto proprio nel mese di gennaio. Ed è da quel momento che il flusso si è anestetizzato, limitandosi a poche centinaia di migranti. Il governo marocchino, inoltre, ha annunciato di aver respinto 25mila persone e smantellato una cinquantina di reti di trafficanti che operano nella zona di confine marittimo attorno a Tangeri.

Proprio nella splendida città di origine berbera vive una comunità, seppur ridotta, di cristiani cattolici e lì si trova l’arcidiocesi guidata dal vescovo spagnolo Santiago Agrelo Martinez. Un prete ancor prima che un arcivescovo, in linea con il sentire di Papa Bergoglio sul fronte dei migranti. Una linea non appoggiata da tutti nel mondo ecclesiastico della Chiesa di Roma: “Ricevo quasi quotidianamente attacchi e insulti per la mia posizione e per quello che faccio a favore dei migranti qui a Tangeri – ammette mons. Agrelo, un passato quasi ventennale in Italia – Ci sono abituato ormai, io vado avanti e soprattutto non cambio idea. Gli attacchi arrivano via social, specie su Facebook e sono durissimi. Insulti pesanti, fino a velate minacce. Sembrerà strano, eppure la maggior parte dei messaggi viene veicolata da sacerdoti e religiosi la cui visione del problema è diametralmente opposta alla mia e a quella che dovrebbe albergare all’interno della Chiesa. Sono certo che una parte sempre maggiore di fedeli stia acquisendo un’identità cristiana all’Europea. L’idea globale che porta a un pensiero unico, simile a quanto accaduto nel secolo scorso con i fascismi. Noi italiani e spagnoli dovremmo saperne qualcosa. Fascismo sostituito, oggi, da nazionalismo e sovranismo. Il confronto tra destra e sinistra oggi è più teso che mai”. 

In un’intervista rilasciata qualche tempo fa ad un portale di notizie spagnolo, Monsignor Santiago Agrelo Martinez dichiarò che, secondo lui, il Vangelo era di sinistra. Apriti cielo, il porporato fu travolto da critiche e polemiche. Odio e razzismo vomitato via social, eppure sul dramma delle migrazioni Agrelo ha un’idea chiara a proposito delle responsabilità: “La mia è una strenua difesa, senza se e senza ma, nei confronti dei migranti. Frotte di ragazzi africani in cerca di una speranza, maltrattati e, adesso, pure deportati su ordine del governo spagnolo, con placet dell’Unione europea. Loro sono le vittime, i veri responsabili sono le mafie che lucrano sulla loro disperazione, organizzazioni figlie delle politiche dei governi comunitari. Nei loro confronti si sta commettendo un crimine disumano”.

Qualcosa andava fatto nell’ottica di Madrid. Dopo il boom di arrivi nel 2018, anche il governo socialista di Pedro Sanchez ha applicato misure repressive verso i migranti. A migliaia sono stati rimpatriati, ributtati in Nord Africa senza la possibilità di richiedere la protezione internazionale nell’ottica dei Trattati di Dublino. Col canale libico anestetizzato dagli accordi tra il nostro governo e quello della Tripolitania di Fayez al-Serraj, le carovane di migranti si sono, in parte, spostate lungo l’altra rotta disponibile in Africa.

I numeri parlano chiaro. Nel 2018 in Italia sono sbarcati circa 23 mila richiedenti asilo (nel 2016 erano stati 180mila e 120mila l’anno successivo grazie alle misure dell’allora ministro degli Interni, Marco Minniti), un terzo in meno rispetto alla Spagna che ne ha accolti oltre 60mila, quadruplicando le stime degli anni precedenti. I soldi elargiti da Bruxelles a Rabat serviranno per respingere i circa 200mila africani che bussano alla porta ovest dell’Europa, cifra che, di fronte al perdurante tappo della Libia, potrebbe ancora crescere. Secondo il capo del Dipartimento per il controllo dei confini e della migrazione del Marocco, Khalid Zerouali, i fondi ricevuti dall’Ue hanno consentito di bloccare gli assalti alle recinzioni delle due enclave spagnole in terra marocchina, Ceuta e Melilla

Un annuncio durato poco, visto che pochi giorni fa in 52 sono riusciti a scavalcare quelle di Melilla e, dunque, ad entrare in Europa. A Ceuta, una manciata di chilometri da Tangeri, le cose hanno iniziato a cambiare dopo il maxi assalto del luglio 2018, con oltre 600 migranti, in larga parte guineani, accolti poi nel centro di transito della città-porto franco. Chi tenta di varcare le recinzioni e il filo spinato, chi tenta la fortuna a bordo di imbarcazioni insicure, mentre altri aspettano di racimolare qualche soldo. Nel frattempo cercano di sopravvivere a Tangeri e una delle poche oasi sicure è la cattedrale con a capo proprio Monsignor Agrelo: “Ce ne sono una quarantina a turno e io li accolgo tutti. Non li posso tenere dentro la cattedrale, altrimenti rischierei sanzioni in quanto si tratta di irregolari. Mi limito a consentire loro di accamparsi sotto i due portali. Offro loro l’uso di bagno e docce e fornisco un pasto al giorno. L’alternativa per quei ragazzi sarebbe vivere in strada, sulle panchine delle piazze, in mezzo ai cespugli, col rischio di essere aggrediti e arrestati dalla polizia. Qui non li tocca nessuno. Certo, vorrei fare di più. Curiosamente, polizia, militari, sono normalmente dei poveri che vengono utilizzati come strumento di repressione contro uomini e donne ancora più poveri di loro. Quelli che oggi sono i repressori dei poveri, domani saranno poveri repressi. La politica è in guerra contro gli emigranti. In realtà è in guerra contro i piccoli, contro i deboli, contro quella parte dell’umanità che non può difendere se stessa”.

I legami tra Santiago Agrelo Martinez, l’Italia e il Vaticano sono molto forti. È del marzo scorso la visita di Papa Francesco in Marocco: “Sarebbe stato bello averlo ospite a Tangeri e magari fargli visitare l’area attorno a Ceuta. A tavola, durante l’incontro nella capitale, è venuto fuori questo tema. In principio, l’annuncio della visita a Rabat e a Casablanca ma non a Tangeri mi ha lasciato un pizzico di delusione. Poi, a ripensarci, abbiamo ringraziato il Signore per questa visita mancata. L’arrivo del Papa avrebbe significato la deportazione di tutti gli emigranti senza regolare carte di soggiorno”.

Dal Pontefice al ministro dell’Interno, Matteo Salvini, due mondi all’opposto: “Il governo italiano non ha fatto altro che accodarsi alla politica disumana degli altri paesi dell’Europa. Il ministro Salvini è un perfetto europeo. I porti chiusi in Italia hanno creato un precedente. Purtroppo si tratta della chiusura dell’Europa di fronte a migliaia e migliaia di giovani che hanno bisogno della nostra solidarietà, di giustizia, di libertà. In realtà oggi parliamo dell’Italia perché, fino a ieri, quando il resto dell’Europa guardava da un’altra parte per non vedere ciò che accadeva nel Mediterraneo, l’Italia era un porto umanamente aperto agli emigranti. Cosa penso di Salvini? Quando lo vedo in tv cambio canale”.

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