Non esiste alcun elemento che possa portare a sostenere che Giuseppe Sala, l’allora ad di Expo, “ha concorso in maniera attiva e ha deciso in maniera solitaria e quindi retrodatato quei verbali direi in maniera inutile”. È uno dei passaggi conclusivi dell’arringa dell’avvocato  Salvatore Scuto, difensore assieme al collega Stefano Nespor, dell’attuale sindaco di Milano imputato per falso ideologico e materiale nel processo con al centro l’appalto per la realizzazione della Piastra di Expo. Lo scorso 13 maggio l’accusa aveva chiesto 13 mesi sostenendo che il primo cittadino “non è credibile”. Scuto, nelle sue conclusioni davanti ai giudici della X sezione penale del Tribunale, parlando di incompatibilità probatoria, ha affermato: “Ora ci sono le richieste di condanna a prescindere. A prescindere da chi ha formato i verbali, dal ruolo del responsabile unico del procedimento, da chi ha deciso la retrodatazione, insomma a prescindere da tutto purché si condanni Sala. E questo non è possibile e sono sicuro che questo non accadrà”. Quindi ha chiesto assoluzione con formula piena.

Scuto all’inizio del suo intervento, davanti al collegio presieduto da Paolo Guidi, ha affermato, in sintesi, che la rappresentazione dell’ipotesi accusatoria “è costellata da errori, è incoerente e illogica“. E questo va di pari passo con quanto messo nero su bianco in una nota di udienza consegnata ai giudici in cui i difensori, che sostengono fermamente la mancanza di alcun elemento probatorio che consenta di “attribuire alcuna consapevolezza” all’allora ad di Expo, scrivono che è loro parere che “l’istruttoria processuale consegni al vaglio del Tribunale una tesi d’accusa integralmente svuotata di ogni valenza probatoria”. E che “una prospettazione (…) che rimane conclusivamente isolata al solo dato grezzo dell’intervenuta sottoscrizione, da parte del dott. Sala, dei verbali retrodatati (…) non basta per sostenere una pretesa di condanna”.  In aula il difensore che ha ripercorso, in base alle testimonianze e alle intercettazione, quanto è accaduto dal 18 al 31 maggio del 2012, ha voluto dimostrare che l’ex amministratore delegato e commissario straordinario della società che gestì l’Esposizione “non aveva deciso di retrodatare i verbali, non era stato neppure informato della asserita opportunità di retrodatarli, non era consapevole che si sarebbe operato in tal modo per via delle ipotizzate ‘ricadutè sulla procedura di gara della sostituzione dei commissari” ritenuti da Ilspa incompatibili. E poi, ha sostenuto sempre la difesa, Sala “non ha materialmente predisposto i nuovi verbali, né ne ha previamente concertato il contenuto e non li ha sottoscritti una seconda volta presso la sua abitazione”.

Quanto alla incompatibilità di due dei componenti della commissione di gara – fatto da cui è nata la vicenda per cui è in corso il processo che dovrebbe andare a sentenza il prossimo 5 luglio, giorno in cui si ritorna in aula per le repliche e forse la decisione – i due avvocati hanno sostenuto che “non era condivisa” e l’avvocato Nespor ha addirittura detto che si sarebbe trattato di una “invenzione dei legali di Ilspa“, la società di Regione Lombardia. Per tutto ciò hanno chiesto l’assoluzione di Sala, con la formula “perché il fatto non sussiste” per il falso ideologico e falso materiale, falso il secondo che potrebbe pure “non costituire reato”. L’assoluzione con formula piena è stata accolta anche per tutti gli altri imputati – Paris, Rognoni e Baita – ai quali sono state contestate a vario titolo, oltre al falso, la turbativa d’asta e il tentativo di abuso di ufficio. 

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