“Non è giusto, non ho fatto nulla”. L’infermiera Fausta Bonino esce in lacrime dal tribunale di Livorno dopo aver ascoltato la sentenza di condanna all’ergastolo per le morti in sospette in corsia all’ospedale di Piombino. La donna era accompagnata dal marito e da uno dei due figli. Fine pena mai deciso dal gup per quattro delle morti sospette di pazienti in corsia e assolta per altri sei casi, perché il fatto non sussiste. Assolta, inoltre, dall’accusa di abuso d’ufficio. Il giudice è in camera di consiglio cinque ore.

La difesa della donna ha sempre sostenuto l’impossibilità tecnica del coinvolgimento dell’infermiera e aveva chiesto l’assoluzione per non aver commesso il fatto per 9 dei pazienti deceduti e in un caso perché il caso non sussiste. “Ci ha sorpreso il frazionamento dei casi – ha commentato l’avvocato difensore Cesarina Barghini – e certamente faremo appello”.

Fausta Bonino venne arrestata in carcere il 30 marzo 2016 dal Nas dei carabinieri in esecuzione di un’ordinanza del gip di Livorno che la accusava di aver causato la morte di 13 pazienti (poi saliti a 14 e quindi ridotti a 10 alla chiusura delle indagini) nel reparto di rianimazione all’ospedale di Piombino dove l’infermiera lavorava. I decessi erano avvenuti per emorragie improvvise e letali che, secondo le ipotesi degli inquirenti, sarebbero da riportare alla somministrazione di massicce dosi di eparina, anticoagulante che a parte dei pazienti morti in corsia non risultava prescritto dai medici. Le indagini del pm Marco Mannucci e del Nas dei carabinieri individuarono attraverso una serie di indizi Fausta Bonino come presunta responsabile degli omicidi, in particolare attraverso circostanze concordanti: iniezioni di eparina, presenza in reparto della Bonino e morti avvenute poche ore dopo la somministrazione. Tuttavia presto, il 20 aprile 2016, l’infermiera venne scarcerata dal Riesame e tornò libera. Nel giugno 2018 la procura di Livorno ha chiuso le indagini con 10 decessi attribuiti alla Bonino – accusata di omicidio volontario – mentre per gli ultimi tre venne indagato Michele Casalis, 52 anni, primario del reparto, accusato di omicidio colposo per non aver correttamente vigilato sul personale sanitario alle sue dipendenze e rinviato a giudizio il 18 gennaio scorso al termine dell’udienza preliminare.

“Una sentenza che lascia perplessi perché sono stati considerati dal giudice soltanto i quattro decessi in cui i campioni sono stati esaminati a Careggi dove era stato trovato anticoagulante –  dice l’avvocato Cesarina Barghini – Di questi quattro due erano già stati scartati nella ricostruzione in sede di incidente probatorio. Quindi solo la motivazione della sentenza ci potrà far capire come il giudice sia arrivato a questa conclusione. Aspettiamo di vedere le motivazioni perché questa è una sentenza che lascia insoddisfatti un po’ tutti anche probabilmente lo stesso pm perché smonta tutti i criteri del suo impianto accusatorio e pure le parti civili costituite, che sono rimaste escluse”. Le motivazioni sono attese entro 90 giorni.

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