Pasti “non conformi”, vestiario non adeguato alla stagione invernale e soprattutto strutture prive delle condizioni di vivibilità. È quanto scoperto dalla Guardia di finanza di Taranto nell’inchiesta sul sistema di accoglienza dei migranti nel capoluogo ionico. Nel registro degli indagati sono finite 14 persone tra i quali imprenditori, rappresentanti di associazioni e cooperative sociali e il funzionario dell’Asl di Mottola in provincia di Taranto, Domenico De Carlo. Per quest’ultimo, responsabile del Servizio Igiene degli Alimenti e della Nutrizione dell’Asl, l’accusa formulata dal procuratore aggiunto Maurizio Carbone è di aver intascato una mazzetta tra i 300 e i 600 euro per emettere il parere favorevole al rilascio dell’autorizzazione dell’impianto di scarico delle acque reflue domestiche di un immobile nel quale la cooperativa Cometa ha accolto profughi. Tra gli indagati, inoltre, compare anche un architetto che, secondo quanto accertato dalle Fiamme gialle, ha redatto una relazione tecnica nella quale “attestava falsamente” l’esistenza dell’impianto di scarico delle acque reflue domestiche in un immobile che la Cometa aveva destinato come struttura per l’accoglienza dei profughi. Insomma quella struttura non disponeva delle fogne, ma la relazione ha indotto in errore il Comune che sulla base del documento ha comunque rilasciato l’autorizzazione.

Oltre alla Cometa nei guai sono finite anche le associazioni Salam e Babele. Nei confronti della prima associazione, i finanzieri contestano la violazione della convenzione firmata con la Prefettura di Taranto in particolare perché “con frode – secondo quanto si legge nell’atto d’accusa – non davano esecuzione agli obblighi contrattuali assunti, in particolare ometteva di consegnare un vestiario adeguato alla stagione invernale” e inoltre di aver accolto i profughi in una struttura priva dell’impianto di riscaldamento. All’associazione Babele, invece, gli inquirenti contestano di aver somministrato agli ospiti delle strutture “Roxana” e “Jonico Hotel” pasti “non conformi” e infine di aver sistemato i migranti in una terza struttura che non disponeva di acqua potabile. In una nota inviata alla stampa l’associazione “Babele” ha evidenziato che i fatti contestati  si basano “su questioni erroneamente interpretate”.

Per la fornitura dei pasti l’associazione ha chiarito che “il fornitore dei pasti ha effettivamente avuto un problema organizzativo con il personale di cucina in alcune giornate, ma che i pasti per le 7/8 persone interessate sono stati in ogni caso erogati attraverso la fornitura di panini e pasti preparati dal ristorante adiacente alla struttura di accoglienza”. Per la seconda accusa Babele si dice stupita: “Non si comprende quale sia il reato contestato, in quanto la struttura è situata in zona non servita da impianto fognario e, quindi, non vi è possibilità di allacciamento alla rete idrica. Detta struttura gode di regolare abitabilità rilasciata dal Comune di Pulsano ad uso residenziale, come da documentazione doverosamente depositata e controllata in Prefettura già dal 2014, precedentemente alla gestione di Babele che risale al dicembre 2015. La fornitura di acqua potabile è stata assicurata a mezzo di autobotti da ditte autorizzate come previsto da vigente normativa e dimostrata dalle fatture di acquisto”.

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