Wikipedia si oscura per protesta. La più famosa enciclopedia del web ha deciso sin dalle prime ore della giornata di impedire l’accesso ai contenuti in vista del voto del Parlamento Europeo del 26 marzo, quando la plenaria di Strasburgo voterà la normativa sui diritti d’autore. Secondo i gestori dell’enciclopedia, “la direttiva imporrà ulteriori oneri di licenza ai siti web che raccolgono e organizzano le notizie e forzerà le piattaforme a scansionare tutti i materiali caricati dagli utenti e bloccare automaticamente quelli contenenti elementi potenzialmente sottoposti a diritti d’autore“. Il sito non è direttamente toccato da queste norme ma sostiene che “gli articoli 11 e 13 indebolirebbero il web, e indebolirebbero Wikipedia“. Per visualizzare i contenuti dell’enciclopedia è comunque possibile collegarsi alle versioni di Wikipedia in altre lingue.

Dopo la bocciatura di luglio e l’approvazione di settembre ci sono state diverse negoziazioni che porteranno al voto definitivo di domani. Gli articoli del disegno di legge oggetto di dibattito e citati da Wikipedia sono il numero 11 ed il numero 13. Il numero 11 prevede che le piattaforme multimediali (come Google e Facebook) paghino una somma per i contenuti che utilizzano. Nel caso dei giornali, ad esempio, questa norma riguarda le anteprime degli articoli che spesso sono l’unica fonte di informazione senza nemmeno cliccare sul link. La legge ha perciò il sostegno della Federazione Italiana Editori Giornali (FIEG) e dell’Associazione Italiana Editori (AIE) e i suoi sostenitori hanno anche comprato pagine dei quotidiani per sostenerne l’approvazione. Una versione simile all’articolo 11 era stata sperimentata in Spagna e aveva portato alla chiusura volontaria di Google News, il principale aggregatore di notizie.  Così tuttavia il traffico sui siti di informazione è calato, portando a diverse critiche.

Il secondo punto dolente riguarda l’articolo 13. Secondo questa norma, le piattaforme online dovrebbero accordarsi con le case editrici, discografiche e cinematografiche per dotarsi di servizi che servano a identificare contenuti coperti da copyright. Un esempio? Youtube. Il sistema “Content ID” – si legge sulla guida della piattaforma – “esamina e confronta i video caricati con il database musicale inviato dal proprietario dei diritti. Quando i contenuti di un video caricato da un utente corrispondono a un’opera appartenente a questo database,” il proprietario “può decidere se monetizzare, bloccare o monitorare il video”. Il punto dolente è però legato ai costi di un simile sistema: più di 60 milioni di dollari. Un costo che non tutte le piattaforme potrebbero permettersi di pagare.

Dal punto di vista politico, la situazione è cambiata. Quando la proposta fu bocciata il 5 luglio, votarono a favore solamente 15 parlamentari del Partito Democratico, 6 di Forza Italia e Raffaele Fitto, ex forzista. Il Partito Democratico tuttavia si divise al momento del voto con 8 parlamentari schierati contro la legge. Dopo alcune modifiche che hanno ad esempio escluso Wikipedia e le piattaforme che non hanno un utilizzo non commerciale dei contenuti dalle norme dell’articolo 11, il nuovo voto ha rappresentato fedelmente la situazione del Parlamento italiano: infatti il Movimento 5 Stelle e la Lega hanno votato contro il provvedimento, mentre PD e Forza Italia hanno contribuito alla sua approvazione.

Se il testo, esito dei negoziati terminati in febbraio, verrà approvato e verrà pubblicato nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea, i paesi membri avranno due anni per recepirne i contenuti.

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