Spaesati, inconsapevoli della portata del gesto. Secondo i verbali delle dichiarazioni difensive, sia pure tra qualche contraddizione, meri facchini di un messaggio di camorra ideato e scritto da altri, e portato lì in circostanze non chiarite. “Ho la terza media, non ho capito proprio la gravità”, dice al giudice Antonio Artuso, 19 anni. “Io non so nemmeno cosa c’era scritto sullo striscione”, afferma a sua volta Fabio Amendola, 31 anni. Sono due dei tre indagati per la notte dell’Immacolata a Castellammare di Stabia, il falò del manichino con la scritta “pentiti dovete morire abbruciati”, diventato virale dopo un video postato su una bacheca facebook e rimbalzato su tutti i telegiornali. Rapide indagini coordinate dal pm anticamorra di Napoli Giuseppe Cimmarotta hanno consentito di individuare i cinque responsabili, tra cui due minorenni per i quali procede la procura minorile. Per i tre maggiorenni – Francesco Imperato, 24 anni, il 31enne Amendola e il 19enne Artuso – il Gip di Napoli aveva deciso a febbraio la misura cautelare del divieto di dimora in Campania con accuse di istigazione a delinquere aggravata dal metodo mafioso. Misura attenuata all’obbligo di firma dopo gli interrogatori di garanzia che ilfattoquotidiano.it è riuscito a consultare dopo il deposito al Riesame. Uno dei tre, Imparato, non si è presentato. Gli altri due, difesi dagli avvocati Ambra Somma e Francesco Schettino, hanno parlato. E si sono autoritratti come persone di modesta istruzione (entrambi hanno solo la terza media) e dai lavori precari (il piccolo lavora ogni estate con la famiglia in un chiosco di bibite, il più grande è un carpentiere), senza legami con i clan camorristici del posto e coi loro esponenti, conosciuti solo di vista. Sono entrambi incensurati.

La vicenda è nota. La notte dell’8 dicembre 2018 alcuni ragazzi, reinterpretando a modo loro la tradizione di Castellammare di Stabia dei ‘fuochi dell’Immacolata’, falò appiccati in cima ad altissime cataste di legno in una sorta di gara tra rioni a chi realizza quello più spettacolare, hanno dato fuoco a un pupazzo e a uno striscione con la scritta “pentiti dovete morire abbruciati”. Slogan già inquietante di suo. Ancora più inquietante in quel contesto e in quei giorni: al rione Savorito piazza di spaccio del paese controllata dai ‘Paglialoni’, gli Imparato, (Francesco Imparato è figlio e nipote di due esponenti del clan), fazione alleata del clan D’Alessandro, e tre giorni dopo i 15 arresti della Squadra Mobile e del commissariato contro i signori del racket stabiese. Un’operazione che ha sgominato i vertici delle cosche locali e ha messo in carcere il potentissimo imprenditore locale Adolfo Greco, l’ufficiale di collegamento tra la camorra e le vittime del pizzo.

La Dda ha immediatamente collegato il falò agli arresti del 5 dicembre e si è messa alla ricerca degli autori, scovati in tempi brevi grazie alle indagini dei carabinieri. Davanti al giudice, Artuso e Amendola ammettono subito la loro presenza al falò, e non potrebbe essere altrimenti, sono inquadrati nel video. Ma minimizzano la partecipazione. “Io sono salito per dare una mano, solo per questo” sostiene Artuso “già ci stava lo striscione”. E ha visto chi lo ha messo? “No no, già ci stava…”. E la scritta? “Non avevo capito la gravità della cosa. L’avevo letto ma sono cose che fanno tutti…”. Il giudice si irrita: “Cioè tutti scrivono su uno striscione ‘i pentiti devono morire bruciati…”. “No no, sopra l’Immacolata tutti quanti scrivono delle cose… io non andavo mai a pensare che ci stava scritta una cosa di queste…”. Artuso dice di aver capito di averla fatta grossa solo quando i carabinieri si sono recati a casa sua per identificarlo. E quando il padre, per reazione, lo ha messo in punizione togliendogli lo scooter e il telefonino.

Non è dissimile il verbale di Amendola. “Lo abbiamo fatto solo per tradizione… lo abbiamo messo noi però non so che c’era scritto sullo striscione… prima di metterlo… “. E quando ha visto la scritta ha chiesto qualcosa? “Non ho chiesto niente”. Il giudice non è convinto: “A me sembra molto strano che uno va a mettere uno striscione e non legge neanche che cosa c’è scritto”. Sollecitato dal suo avvocato, Amendola spiega che lo striscione è stato messo “per fare una bravata… per attirare l’attenzione delle persone”. Col senno di poi, l’obiettivo è stato sicuramente raggiunto. Resta un mistero chi l’abbia materialmente confezionato e portato in piazza, quello striscione minaccioso e camorristico. Anche Amendola sul punto si limita a dei “non lo so, era buio”. Nel chiedere una misura più blanda per il suo assistito, l’avvocato Schettino inchioda una frase che è difficile non condividere: “E’ un fatto che va stigmatizzato oltre che nella sua tragicità, nella sua imbecillità”.

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