Nicola è sempre stato così. Pure da ragazzino. Tu lo attaccavi, lo insultavi, lo provocavi. Lui ti stava a sentire e poi ti diceva: parliamone. Ha diversi nemici, ma non è nemico di nessuno. Per anni abbiamo pensato fosse un limite. Sta diventando una grande opportunità“. Sono tanti gli ex compagni dei tempi della Fgci che mai, senza il senno di poi, negli anni ’80-90 avrebbero scommesso un euro (anzi, una lira) su Nicola Zingaretti futuro segretario del partito. E pure potenziale candidato premier. Lo chiamavano er “Sor Tentenna”, ancora oggi lo etichettano come “Er Saponetta”, ma in quasi 40 anni di politica attiva ha sempre fatto la mossa giusta, senza mai fallire una competizione. Anche a costo di perdere qualche treno. Come quello del 2013 che avrebbe dovuto portarlo in Campidoglio, convoglio poi deragliato miseramente e finito nel burrone portandosi via (quasi) tutti coloro che vi erano a bordo. Occhio lungo, clinico. Anzi, cinico. Lui optò per il porto sicuro della Regione Lazio, da dove ha continuato a fare ciò che faceva da 30 anni: intessere relazioni, costruire alleanze e cucire gli strappi. “È il Partito Comunista Italiano, bellezza”, dice oggi chi, nel Pd, rivede le tecniche della “vecchia scuola”.

GLI ANNI DELLA FGCI ROMANA – La scuola, quella ufficiale, non è mai stata il suo forte. D’altronde, nato nel 1965, la sua generazione è stata forse l’ultima a ritenere che la vera formazione avvenisse in sezione e al Liceo (come all’Università) bisognava andarci per fare politica. Così, mentre all’Istituto per Odontotecnici coltiva il piano B nel caso la politica non dia i frutti sperati, alla Sezione del Pci Montagnola studia Marx, Gramsci e Pasolini, mentre partecipa ai collettivi prima al Liceo Classico Mameli e poi all’Università Sapienza dove, in realtà, non si è mai laureato. Perché nel frattempo l’ex deputato Goffredo Bettini lo prende sotto la sua ala protettiva. In breve tempo Nicola diventa segretario della Fgci romana, guida l’organizzazione attraverso il passaggio traumatico della Bolognina e nel 1991 diventa segretario nazionale della Sinistra Giovanile. Il debutto nelle istituzioni lo farà nel 1992, quando sindaco della Capitale era Franco Carraro, restando in Aula Giulio Cesare per meno di un anno. Non tornerà più sul colle capitolino.

I “MASSIMI SISTEMI” E LE RELAZIONI COL PSE – D’altronde, in quel momento, al ragazzo la politica di territorio piace fino a un certo punto. Preferisce i “massimi sistemi”. Negli anni ‘90 è presidente dell’Unione Internazionale della Gioventù Socialista e vicepresidente dell’Internazionale Socialista, incarichi grazie ai quali gira il mondo e intesse relazioni importanti in Medio Oriente, Asia e Sudamerica. Il suo vate Goffredo Bettini – che all’epoca portava avanti il ‘modello Roma’ prima con Francesco Rutelli e poi con Walter Veltroni – lo vuole sul campo. Così ne sostiene l’elezione a segretario dei Ds di Roma nel 2000, cui seguirà il salto a segretario regionale nel 2006. In quegli anni si consuma una sorta di dualismo con un altro “compagno” bettiniano dei tempi della Fgci, l’allora assessore Roberto Morassut. In questo periodo, la “vocazione europea” lo spinge a diventare, nel 2004 parlamentare europeo, dove continua a tessere relazioni all’interno del Pse e con gli “amici” dei Verdi Europei che non smetterà mai di coltivare.

QUELLA CENA ORGANIZZATA PER D’ALEMA – È da segretario regionale che mette in mostra le sue “dotipolitiche. Prova in tutti i modi a contenere l’emorragia del 2007 che vede fuoriuscire la “mozione Mussi” dalla trasformazione in Partito Democratico, consumatasi con un duro scontro con il segretario del Circolo di Testaccio, Roberto Gilioli. Nel frattempo, dà il suo contributo alla costruzione del Pd radunando gli imprenditori locali da Rinaldo all’Acquedotto, cena in cui l’ospite d’onore era Massimo D’Alema. Determinante il suo lavoro dietro le quinte per tenere compatta la maggioranza che appoggia Walter Veltroni in Campidoglio, con l’allora sindaco impegnato – specialmente nei due anni del suo secondo mandato – a costruire la sua candidatura nazionale. Qui Zingaretti interviene spesso, contribuendo a tenere unita una maggioranza sull’orlo di una crisi di nervi con la sinistra radicale con un piede fuori dalla porta.

L’ARRIVO IN PROVINCIA E IL “GIALLO” DELL’ASSUNZIONE – Dura poco, però. Perché dopo tanta “politica” per Nicola è arrivato il tempo di sporcarsi le mani. Con Marrazzo in Regione affidato alla guida di Esterino Montino e Rutelli ricandidato in Campidoglio, Bettini lo vuole presidente della Provincia. Lui all’inizio non è entusiasta, ma non sa ancora che è proprio da qui che inizierà la sua vera scalata. Mentre un Rutelli sempre più in versione cattolica rompe con Rifondazione e consegna – di fatto – la città a Gianni Alemanno, Zingaretti stravince il ballottaggio con il forzista Alfredo Antoniozzi e diventa presidente della Provincia. Non senza un “piccolo” scandalo, da cui poi uscirà pulito: il 15 febbraio 2008 – 24 ore prima di accettare la candidatura – viene assunto a 8.348 euro lordi dal Comitato provvisorio Pd Lazio. In quel momento, la legge permetteva ai datori di lavoro di far gravare sulla Provincia gli stipendi e i contributi per gli eletti. Il presidente si sarebbe messo in aspettativa, salvo il diritto al versamento dei contributi previdenziali rimborsati al datore di lavoro dalla Provincia. La Procura di Roma, dopo aver aperto un’inchiesta su esposto dei Radicali, non rileva la presenza di reati e archivia tutto.

LA VIRATA SULLA REGIONE – A Palazzo Valentini inizia ad affrancarsi pian piano da Bettini e a costruire la sua rete. Stringe i rapporti con Massimiliano Smeriglio, non perde mai di vista il movimentismo e il sindacato, tesse le sue reti anche al centro. Soprattutto, mette su uno staff della comunicazione che confermerà per i 10 anni a seguire. Fino al 2012, quando tutto sembra pronto per la sua candidatura a sindaco. Abbastanza giovane, abbastanza bravo, abbastanza “ecumenico” e pure con un fratello famoso – che non guasta – è pronto per il Campidoglio. Ma in Regione succede l’imprevedibile. Il centrodestra viene travolto dallo scandalo sui rimborsi (che intacca anche il Pd) e Renata Polverini scappa in Parlamento. Così in Regione si vota di nuovo. La vittoria è facile, scontata, ma sul candidato naturale, il medico Ignazio Marino, non c’è la quadra. Nicola ne approfitta per ribaltare il tavolo e togliersi dall’impiccio: lui va in Regione mettendo tutti d’accordo, e spedisce il chirurgo genovese alle primarie per il Comune. Il ‘marziano’, sostenuto da Bettini, vincerà a sorpresa contro David Sassoli e Paolo Gentiloni. Il resto è storia.

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