Dovevano essere “bussole umane”, capaci di ascoltare i beneficiari del reddito di cittadinanza, di “riconquistarne la fiducia dopo anni di invisibilità” e di pensare per loro a dei veri “percorsi di reinserimento sociale”. Ma ora, dopo l’accordo raggiunto fra governo e Regioni, i navigator rischiano di essere assunti per svolgere solo “azioni di assistenza tecnica” ai centri per l’impiego. La denuncia arriva dal giuslavorista Michele Tiraboschi, direttore scientifico di Adapt (il centro studi sul diritto del lavoro fondato da Marco Biagi). “È stato trovato un compromesso politico che fa comodo a entrambi, ma demolisce i principi alla base della misura voluta dai 5 stelle, assegnando ai navigator dei compiti del tutto inutili”, spiega Tiraboschi a ilfattoquotidiano.it. “I beneficiari del reddito sono soprattutto persone in difficoltà, con disagi personali molto forti. Affidarli subito ai centri di collocamento non serve a niente, altrimenti avrebbero trovato lavoro già da soli. Così il reddito di cittadinanza è destinato a fallire”.

I contenuti dell’accordo fra governo e Regioni
Il 12 marzo scorso il ministero del Lavoro guidato da Luigi Di Maio e le Regioni hanno trovato un’intesa sul ruolo da affidare ai cosiddetti navigator previsti dal decretone sul reddito di cittadinanza (attualmente in fase di conversione in legge in Parlamento). Mentre il governo puntava ad assumerne 6mila a livello nazionale attraverso l’Anpal e ad inserirli direttamente nei centri per l’impiego (che però sono di competenza regionale), le Regioni chiedevano che su questo tema fosse lasciata loro massima autonomia. Il compromesso raggiunto, invece, prevede fra le altre cose che i navigator siano soltanto la metà, cioè 3mila, e che siano chiamati a svolgere “azioni di assistenza tecnica alle Regioni e alle Province autonome”, come si legge nel testo dell’emendamento approvato dalla Conferenza delle Regioni. Un punto confermato anche dalla coordinatrice degli assessori al Lavoro, Cristina Grieco, ma che ora pone dei dubbi sulla reale efficacia di queste figure.

Quale futuro per i beneficiari del reddito
“Il reddito di cittadinanza è una misura molto importante e già dal nome si capisce qual è il suo reale obiettivo: affidare un reddito alle persone in difficoltà per farle tornare ad essere cittadini a tutti gli effetti, per restituire loro la dignità perduta”, dice il giuslavorista Tiraboschi. “Si tratta di un mondo di invisibili di cui ci siamo spesso dimenticati e che hanno bisogno di tempo prima di essere collocabili sul mondo del lavoro”. Perché? “Vanno scoperti, va riconquistata la loro fiducia, bisogna capire quali siano le loro qualità dopo anni di distacco dalla società”, continua. Come confermano le analisi fatte dagli Uffici di bilancio del Parlamento, infatti, la maggior parte dei beneficiari del reddito fa parte proprio di questa categoria. “Soltanto dopo un percorso personale di almeno un anno, si può pensare di trovare loro un’occupazione. È per questo che i navigator, così come erano stati pensati all’inizio, sono fondamentali”.

Secondo il direttore scientifico di Adapt (sul cui sito è disponibile un corso gratuito pensato proprio per chi vorrebbe ricoprire questo ruolo), quindi, utilizzarli solo per “assistere” i centri per l’impiego e non direttamente i beneficiari del reddito è un grave errore. “Serve un team interdisciplinare composto da esperti in psicologia, sociologia, dinamiche redazionali, cioè professionisti che sappiano ascoltare queste persone e che lo facciano in modo continuativo”. Se il problema fosse soltanto la ricerca di un posto di lavoro, continua Tiraboschi, “avrebbero potuto trovarlo già da ora, eppure non è così. Il collocamento tradizionale, ammesso che serva, deve avvenire in un secondo momento. Inoltre i centri per l’impiego sono strutture pensate nel ‘900 per rispondere a logiche tradizionali di collocamento, ma nel frattempo il mondo del lavoro è cambiato”. Secondo il giuslavorista, “occorre costruire dei percorsi di formazione molto diversi: un sistema come quello attuale, basato solo su procedure burocratiche, non basta più. Negli Stati Uniti, ad esempio, si discute ormai da anni delle false promesse delle politiche attive per il lavoro”.

“Le Regioni dovevano mettere da parte il colore politico”
Il compromesso raggiunto fra il leader dei 5 stelle Di Maio e le Regioni, quindi, secondo Tiraboschi va nella direzione opposta. “Dal punto di vista politico fa comodo al governo perché gli permette di andare avanti con il reddito, anche se non si sa bene come. E poi fa comodo alle Regioni, le quali si erano prefissate l’obiettivo di affossare questa misura”, commenta. Come la Regione Toscana, giudicata colpevole dal giuslavorista di essersi “intestata una battaglia politica, minacciando addirittura il ricorso alla Corte costituzionale, nonostante sia governata da chi si dice vicino ai più deboli”. Un tema delicato come quello del sostegno alla povertà, aggiunge, “è finito negli ingranaggi della contrapposizione politica, ma non doveva andare così. Le Regioni avrebbero dovuto dare priorità ai bisogni di queste persone e non al proprio colore politico, mentre il governo non ha saputo realizzare la sua idea sul piano tecnico”. Ora, conclude Tiraboschi, restano sul tavolo molti interrogativi. “Chi affiancherà questa platea di milioni di persone? E con quali competenze? La mia paura è che gli uffici regionali saranno intasati di personale, mentre chi è in difficoltà non avrà nessuno disposto ad ascoltarlo davvero”.

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