Le sentenze si possono sempre criticare ma se si estrapolano frasi, messe in circolazione sui media o sui social in maniera semplicistica, questo scatena un dibattito non consapevole, che non parte dalla lettura del provvedimento giudiziario ma, scandalisticamente, estrapola una frase dal contesto logico, giuridico o argomentativo che invece andrebbe conosciuto”. Così il segretario dell’Associazione nazionale magistrati, Alcide Maritati, interpellato dall’Adnkronos, interviene sui recenti casi di sentenze in cui è stata ridotta la pena a responsabili di femminicidi.

Nell’ultimo caso, quello di Genova, l’avvocato di parte civile ha fatto un riferimento al delitto d’onore. “La prima considerazione – sottolinea – è che si sta sviluppando sempre più un dibattito che parte da notizie di tipo giudiziario e si sviluppa in maniera eccessiva”, un dibattito “che fuoriesce dai canoni del giusto dibattito che ci può essere sulle decisioni di un giudice e che specula soprattutto su questo tipo di notizie che hanno a che fare con reati a sfondo sessuale”. Ancora più grave, osserva il segretario Anm, è “quando si leggono commenti fatti anche da persone che hanno responsabilità politiche o istituzionali molto duri e semplicistici. Questo ha l’effetto di aizzare l’opinione pubblica contro l’esercizio della giurisdizione, ed è un pericolo”.

La concessione delle attenuanti equivalenti all’aggravante ha permesso con il rito abbreviato (che prevede lo sconto di un terzo della pena) di condannare gli imputati a 16 anni (con il rito ordinario sarebbero stati 24). Le motivazioni, come anche nel verdetto della Corte d’assise di Bologna, hanno fatto riferimento agli stati emotivi. Sulla misura della responsabilità penale vale la pena ricordare che la Cassazione (sentenza n° 7227/2013) aveva stabilito che “gli stati emotivi o passionali, pur non escludendo né diminuendo l’imputabilità, possono comunque essere considerati dal giudice ai fini della concessione delle circostanze attenuanti generiche, in quanto essi influiscono sulla misura della responsabilità penale”. Un principio ribadito nel verdetto n°4149/2018 che ha stabilito che “gli stati emotivi e passionali possono essere eventualmente rilevanti ai fini del riconoscimento delle attenuanti generiche” e anche nella sentenza n° 5299/2018 secondo cui “gli stati emotivi e passionali, pur non escludendo né diminuendo l’imputabilità, possono essere considerati dal giudice ai fini della concessione delle circostanze attenuanti generiche, in quanto essi influiscono sulla misura della responsabilità penale”. Prima ancora sempre la Suprema corte con la sentenza n° 27932/2016 aveva stabilito che “gli stati emotivi e passionali possono rilevare ai fini della applicazione delle circostanze attenuanti generiche“.

Ovviamente, chiarisce Maritati, “ogni magistrato ha il dovere di prestare la massima attenzione, anche linguistica, quando affronta procedimenti e motivazioni di questo tipo: pronunciamo sentenze nel nome del popolo e dobbiamo spiegare le ragioni per cui su prendono le decisioni ma le prerogative dell’autorità giudiziaria si devono rispettare e non banalizzare con commenti improvvisati”. E sul richiamo al delitto d’onore conclude: “Stupisce che siano difensori delle parti ad agitare questi spettri quando ci sono tutti i modi per rimediare. La Cassazione ha annullato nei giorni scorsi una sentenza su un caso di stupro. Ci sono anticorpi e meccanismi per ovviare a eventuali errori ma generalizzare comporta come ricaduta la sfiducia nei confronti autorità giudiziaria che non fa bene al paese e alla società democratica”.

È dello stesso avviso il presidente dell’Unione delle camere penali, il sindacato degli avvocati: “Il delitto d’onore non c’entra nulla. Ci troviamo di fronte alle normali dinamiche di un giudizio penale. Non tutti gli omicidi sono uguali e non tutte le condotte dolose hanno la stessa intensità. Non c’è bisogno di riaprire il discorso sul delitto d’onore che – dice Gian Domenico Caiazza – non è tirato in ballo da nessuna delle sentenze, né potrebbe esserlo perché non esiste“.  “Il giudice – spiega il penalista – valuta le diversità utilizzando o meno le attenuanti generiche che hanno incidenza sulla pena finale. Può fare bene o può fare male ma in nessuna di quelle sentenze c’è alcun richiamo al delitto d’onore”. In particolare nel caso di Genova “il gip ha valutato che vi fosse il cosiddetto dolo d’impeto, che è una cosa su cui si è scritto per decenni, è un fatto importantissimo: un dolo che irrompe nel comportamento quasi al limite della volontà. Questo comporta una valutazione diversa dell’entità della pena ed è una ragione per concedere le attenuanti generiche. La giudice non giustifica l’uomo ma spiega la reazione violenta come un dolo d’impeto. Siamo dentro la normale valutazione“.  “Il dolo più freddo è più grave, se è dominato da una reazione emotiva sproporzionata è meno grave, non diventa certo giustificabile ma è meno grave e le pene si misurano di conseguenza”, chiarisce Caiazza. “Come al solito c’è una discussione virtuale. Qui non c’è nessun onore – ribadisce il leader dei penalisti – l’opinione pubblica si deve convincere che non tutti gli omicidi sono uguali, come non sono uguali le corruzioni o i peculati“.

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