La domenica decisiva per l’Algeria si è risolta come tutti ormai si aspettavano. Poco prima della scadenza per presentare le candidature per le prossime elezioni presidenziali, il presidente uscente Abdelaziz Bouteflika sarà ancora in corsa. Nonostante l’età, nonostante una condizione di salute che rende difficile pensare che l’uomo sia nelle condizioni di prendere decisioni per il suo Paese. Nonostante le proteste che da ormai 10 giorni continuano in tutto l’Algeria – oggi sono tornati in piazza gli studenti -Bouteflika non farà il passo indietro rinunciando al possibile quinto mandato. Come si era compreso già sabato, quando c’è stata la pubblicazione della sua situazione patrimoniale, atto che precede la presentazione della candidatura.

Geddouda al Fatto.it: “Non ci fermeremo” – “I cittadini sono molto determinati e non si fermeranno”, ribatte a Ilfattoquotidiano.it Abu Bakr Geddouda, ex parlamentare e presidente del National Shura Council – comitato centrale – del partito islamista del Movimento Sociale per la pace (HMS in arabo), braccio politico dei Fratelli Musulmani algerini e sino al 2012 parte della maggioranza che appoggiava Bouteflika. Ora il loro candidato alla presidenza, Abderrazak Makri, ha deciso di boicottare le elezioni. “La situazione è delicata. Ci siamo ritirati dalla coalizione e abbiamo rifiutato di farne nuovamente parte perché manca un piano di riforme per il paese. Le elezioni sono sempre state truccate e il parlamento non ha potere, queste proteste sono il risultato di questa situazione politica”, spiega.

Le proteste e i feriti – Dal 22 febbraio i cortei di protesta hanno raggiunto numeri che non si vedevano da 30 anni. Hanno manifestato tutte le categorie, dagli studenti ai giornalisti. Lo scorso primo marzo la seconda chiamata generale in piazza. Come è consuetudine nelle proteste del mondo arabo, il venerdì dopo la preghiera decine di migliaia di persone hanno preso parte ai cortei non solo nella capitale, dove i cittadini hanno sfidato il divieto di manifestare, ma in numerose città algerine. La polizia ha occasionalmente usato i gas lacrimogeni e ci sono stati alcuni scontri che hanno provocato, secondo l’agenzia di stampa statale APS, 182 feriti.

Bouteflika, dalla pax alle mancate riforme – Bouteflika ha appena compiuto 82 anni ed è al potere dal 1999. Nel 2013 un ictus lo ha colpito lasciandolo in sedia a rotelle e in gran parte paralizzato. All’inizio della scorsa settimana è volato in Svizzera per accertamenti medici e non è ancora tornato. L’assenza di riforme e di rinnovamento non è più tollerata dai manifestanti. Molti di loro sono ventenni o poco più: il 70% degli algerini ha meno di 30 anni. E le prospettive per il futuro, con la disoccupazione giovanile al 26%, sono quasi inesitenti. Il trauma delle 200mila vittime della guerra civile algerina trascinatasi dal 1991 al 2002 – il cosiddetto decennio nero – è il paravento con cui il governo e l’esercito hanno sempre giustificato il loro autoritarismo, ma non appartiene alla nuova generazione. Così come non appartiene loro la retorica nazionalista del Fronte di liberazione nazionale e la venerazione del ruolo di Bouteflika come pacificatore del paese dopo il caos.

Il petrolio e la crisi economica – A far impennare lo scontento, come spesso avviene per le rivolte in Nordafrica, è anche la crisi economica, provocata anche dal crollo del prezzo di petrolio e gas in un paese dove l’estrazione di idrocarburi resta la maggior fonte di sostentamento del paese. Le riserve nelle casse statali si sono assottigliate ponendo a forte rischio i programmi di welfare che assistevano le fasce più svantaggiata del paese. “Gli algerini hanno capito che è il momento di decidere per il nostro paese. Noi non siamo né la Siria né l’Iraq e i governi occidentali devono appoggiarci”, continua Geddouda. “Non devono ripetere l’errore che hanno commesso in passato non sostenendo le richieste di giustizia sociale e di democrazia delle popolazioni arabe”.

Il ruolo dell’entourage di Bouteflika – Lo scenario sino al prossimo 18 aprile, giorno delle elezioni presidenziali, resta incerto. Le condizioni di salute di Bouteflika, da anni incapace di sostenere le attività legate alla sua carica, celano un ristretto gruppo di personalità legate agli apparati militari che mantengono il controllo del paese. Tra di loro ci sono Gaïd Salah, capo di stato maggiore della Forze armate e viceministro della sicurezza, e Athmane Tarthag, capo dei servizi di sicurezza DSS (Dipartimento di Sorveglianza e Sicurezza) e uomo vicino a Said Bouteflika, fratello minore del presidente. Infine, il generale Mohammed Mediène che per 25 anni è stato il capo del servizio di informazione nazionale algerino, organo fondato negli anni ’50 durante la lotta per l’indipendenza dalla Francia.

I rischi dell’instabilità – Molti analisti concordano sul fatto che un’eventuale uscita di scena di Bouteflika, più o meno traumatica, potrebbe innescare il conflitto tra le fazioni interne che fanno capo a questi tre uomini forti. “L’esercito e gli apparati di sicurezza dovrebbero solo garantire la sicurezza dei cittadini e non entrare nei giochi di potere del paese”, conclude Geddouda. “Gli algerini devono votare in modo libero, la nostra Costituzione è un ottimo punto di partenza. Se la situazione non cambierà le proteste continueranno e la situazione diventerà sempre più instabile”.

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