Ottant’anni fa, Hitler annunciò per la prima volta in modo esplicito l’idea dello sterminio degli ebrei, in un discorso tenuto davanti al Reichstag il 30 gennaio 1939: “Se il giudaismo della finanza internazionale, in Europa o altrove, riuscirà ancora una volta a gettare i popoli in una guerra mondiale, il risultato non sarà la bolscevizzazione della terra e la vittoria del giudaismo, ma l’annientamento della razza ebraica in Europa“.

Due concetti sono contenuti in questa frase:
1. il razzismo “economico”;
2. lo sterminio degli Ebrei come difesa necessaria.

Il razzismo antisemita dei nazisti si basava su almeno due argomentazioni diverse. C’era infatti nell’ideologia nazista un antisemitismo “genetico”, che vedeva il popolo ebraico come diverso dal volk tedesco, e temeva la contaminazione razziale; e un antisemitismo economico, che vedeva nella finanza ebraica la causa della sconfitta tedesca nella prima guerra mondiale e del successivo impoverimento del popolo tedesco.

Tutti i nazisti di spicco condividevano entrambe le ragioni dell’antisemitismo, ma in diversa misura: Heinrich Himmler era soprattutto un razzista genetico, mentre Hitler era soprattutto un razzista economico. Poiché il termine razzismo in senso etimologico si rifà, seppure in modi erronei, alla genetica delle popolazioni e non all’economia, occorre chiedersi in che senso una discriminazione economica possa definirsi razzista. La frase di Hitler è inequivoca: Hitler non intendeva perseguitare fino allo sterminio la finanza ebraica, gli ebrei ricchi. Intendeva perseguitare tutti gli ebrei, ricchi e poveri, perché una caratteristica universale del razzismo è che ogni membro del gruppo condivide le presunte colpe dell’intero gruppo, anche quando queste riguardano logicamente soltanto alcuni dei suoi membri.

Nel suo discorso Hitler presentava il suo progetto di sterminio come difensivo, e ipotizzava una guerra causata da finanzieri ebrei, nonostante nel 1939 la Germania avesse già forzosamente annesso Austria e Cecoslovacchia e preparasse l’invasione della Polonia. Hitler credeva fermamente nelle sue tesi e risultava un buon propagandista, perché qualunque essere umano, perfino se si è volontariamente arruolato nelle SS, ha bisogno di sentirsi nel giusto e certamente la vittima è più nel giusto dell’aggressore. Hitler dipingeva per sé e per i suoi seguaci un quadro immaginario nel quale la finanza della “razza ebraica” attaccava il popolo tedesco, costringendolo a difendersi; e la difesa, si sa, è legittima ed esonera dalla colpa.

È improbabile che oggi si ripresenti un esplicito razzismo genetico: è troppo facilmente riconoscibile. È invece evidente che, in Italia come altrove, il razzismo si sta ripresentando dietro la maschera del razzismo economico contro gruppi di poveracci, profughi da guerre e carestie, che vengono ad attentare al nostro benessere e alla nostra pace sociale e, all’opposto, contro gruppi di riccastri, finanzieri e funzionari nazionali e internazionali, euroburocrati e banchieri, che derubano il popolo italiano.

E come il partito nazionalsocialista tedesco convinceva con la propaganda il popolo tedesco della necessità di difendersi contro la finanza ebraica sterminando gli ebrei, così oggi la propaganda politica di alcuni partiti italiani cerca di convincerci della necessità di difenderci dall’invasione africana, come se veramente un intero continente si stesse riversando sui sacri lidi della Patria, e dalle regole comunitarie, come se il problema fossero le regole e non il nostro enorme debito pubblico. Come è tipico del razzismo, nessun’argomentazione proveniente dai gruppi discriminati è considerata degna di ascolto.

Uno degli aspetti più spaventosi del razzismo, come di altre ideologie criminali, è che il razzista non si riconosce come tale: è in buona fede, convinto di avere ottime e oneste ragioni. Riconoscere il razzismo prima di tutto in se stessi richiede una riflessione e un’autocritica, i cui strumenti vengono dallo studio del passato. Almeno un insegnamento si può trarre dagli eventi di 80 anni fa: è possibile costruire la propaganda razzista vestendola di argomentazioni economiche apparentemente sensate e oggettive, e presentarla come un’autodifesa. Sta all’ascoltatore riconoscere e respingere questa propaganda.

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