Non piacciono a nessuno, ma sono in testa al campionato turco e non sembrano volersi fermare. Sono odiati da tutti perché sono diversi da tutti: non hanno una tifoseria calda, come nella miglior tradizione anatolica, nessun esplicito impegno socio-politico e una società che non si regge sull’azionariato popolare. Per questo l’Istanbul Başakşehir è così odiato. E lo è ancora di più oggi che è lanciato verso un’impresa storica: rompere il dominio delle tre grandi Galatasaray, Fenerbahçe e Beşiktaş che va avanti dalla stagione 1984-’85, con una sola parentesi Bursaspor nel 2009-10, e volare verso una storica conquista dello scudetto, ad appena cinque anni dal cambio di proprietà e di struttura societaria. Gli avversari e una parte dei media insinuano che dietro i successi della corazzata arancio-blu vi sia il sostegno del partito di governo, l’Ak Parti del presidente Recep Tayyip Erdoğan. Chi segue la Süper Lig, la massima serie, dà un’altra spiegazione: l’Istanbul Başakşehir sta rivoluzionando il calcio turco.

Questa rivoluzione parte dalla rottura con la tradizione turca che vuole i tifosi protagonisti di tutte le vicende legate al club. Tifo organizzato e squadra si fondono non solo sulle calde gradinate degli stadi turchi, ma nella vita quotidiana, per le strade dei quartieri di appartenenza, nelle iniziative sociali, societarie e nella politica. Ci sono i Çarşı del Beşiktaş, gruppo con tendenze anarchiche e molto attivo nel sociale. La vita intorno al monumento dell’aquila, simbolo della squadra di Istanbul nel cuore del quartiere omonimo, è a tinte bianco-nere. Così è anche per i “Canarini Gialli” del Fenerbahçe, anima calcistica asiatica di Istanbul che si stringe tutta intorno al suo stadio, nel cuore del quartiere Kadıköy, fortino dei giallo-blu sostenuti, si dice, anche dal padre della patria, Mustafa Kemal Atatürk. Senza dimenticare la regina tra le squadre turche, quel Galatasaray che ha ceduto alla costruzione del nuovo stadio, la Türk Telekom Arena, nel quartiere periferico di Huzur, lontano dal calore dei tifosi giallorossi nel quartiere storico di Galata, dove la società venne fondata agli inizi del Novecento per volere di un gruppo di studenti del Liceo Galatasaray.

Tradizionalmente, le tre squadre di Istanbul si dividono le diverse fasce sociali della città: aristocrazia per il Galatasaray, medio borghesia per il Fenerbahçe e proletariato per il Beşiktaş. Un assunto che, se lo è mai veramente stato, non può più essere considerato come assoluto. Oggi queste realtà, che conservano un’acerrima rivalità, hanno però trovato un punto d’incontro nell’avversione nei confronti del governo, come quando nel 2013 si unirono in piazza nelle rivolte di piazza Taksim.

In un contesto così caldo e socialmente saturo, non sembrava esserci spazio per un quarto soggetto. E in effetti, fino a pochi anni fa, non c’era: il team arancio-blu alternava campionati di bassa classifica in Süper Lig e annate nelle serie minori. Fino al 2014, quando l’İstanbul Büyükşehir Belediyesi, squadra fondata nei primissimi anni Novanta e di proprietà del comune, è stata rilevata da un cartello di otto persone guidate da Göksel Gümüsdag ed ha cambiato nome in İstanbul Başakşehir. “Fino a quel momento – spiega a ilfattoquotidiano.it l’esperto di calcio turco Bruno Bottaro – La squadra rappresentava una realtà minore rispetto alle tre grandi del calcio turco, alle quali possiamo aggiungere il Trabzonspor. Nel panorama calcistico nazionale, si trattava della squadra di proprietà del comune, quindi espressione anche del governo centrale, che non aveva storia, che non aveva una tifoseria, ma che giocava nello Stadio Olimpico Atatürk, una cattedrale da 80mila posti, con il club che riusciva a portare allo stadio appena 5mila persone. Era considerata una vergogna per un campionato tradizionalmente molto caldo come quello turco”.

Nel 2014, però, il nuovo board societario ha impresso un cambiamento che in pochissimi anni ha portato a grandi risultati: “È l’unica società di calcio nella serie A turca a essere gestita come un’azienda – continua Bottaro -, in un contesto che vuole i tifosi detentori delle quote societarie, coinvolti nella vita del club in ogni suo aspetto”. Via allora la proprietà pubblica e basta con le partite dentro l’Atatürk: nel 2014 viene inaugurato il nuovo stadio da 17mila posti intitolato a Fatih Terim, vecchia conoscenza di Fiorentina e Milan, oltre che storico allenatore del Galatasaray e della nazionale turca. “Questa operazione porta a due risultati immediati – spiega il giornalista – Innanzitutto sposta le attività del club in un nuovo quartiere residenziale di nuova costruzione, senza un’identità calcistica, potendo sfruttare questa neutralità per costruire maggiore supporto intorno alla squadra. Poi permette alla tifoseria di crescere in uno stadio a sua misura, evitando l’imbarazzante colpo d’occhio dell’ Atatürk. E in effetti il sostegno sta crescendo”.

Questo anche grazie ai risultati della squadra e rispondendo alle esigenze di chi nella metropoli sul Bosforo era stanco di curve molto calde, in alcuni casi violente e politicizzate. Una squadra più comoda in un quartiere abitato dalla medio-alta borghesia religiosa di Istanbul a supporto del presidente Erdoğan e che, con il cambio societario, ha portato a casa subito grandi risultati: quarti classificati nei campionati 2014-15, da neopromossa, e 2015-16, secondo posto nella stagione 2016-17, terzi nel 2017-18 e primi nel campionato in corso. “L’ultimo salto di qualità, quest’anno, lo hanno avuto con il crollo della Lira turca – sostiene Bottaro – Visto che gli stipendi dei giocatori stranieri vengono pagati in Euro, club storici hanno dovuto fare a meno di molti top player per rispettare il fair play finanziario. Un problema, quello della valuta, che ha avuto meno impatto su una società come il Başakşehir, che non essendo a partecipazione popolare non deve ‘soddisfare’ le richieste di nuovi campioni da parte del tifo e può contare su una struttura economica e societaria più solida. Se poi si tiene conto dei buoni sponsor e di una redistribuzione più equa dei diritti tv tra tutti i club del Paese, ecco come si spiega il fatto che il Başakşehir sia uno dei pochissimi club con i conti in regola”.

Così, mentre gli altri smantellavano le loro corazzate, allo stadio Fatih Terim hanno messo piede figure storiche del calcio turco come Emre Belözoglu e il portiere Volkan Babacan, oltre a campioni di livello internazionale come Gaël Clichy, Gökhan Inler, Emmanuel Adebayor, Robinho e Arda Turan. Un vero lusso per la Süper Lig turca. “Grandi nomi attirano grandi nomi – dice Bottaro – e così l’indiscrezione che vedrebbe Mesut Özil come prossimo colpo di mercato degli arancio-blu non è una semplice fantasia. Inoltre, il successo non è legato a fattori esclusivamente economici, ma anche sportivi e gestionali. È l’unica squadra che dal 2014 mantiene in panchina lo stesso allenatore, Abdullah Avcı, vero artefice di questo successo insieme al direttore sportivo Mustafa Erogut, uno dei migliori sulla piazza, che ha condotto anche una interessante politica di valorizzazione di giovani da poi rivendere realizzando grandi plusvalenze, come nell’operazione Cengiz Ünder alla Roma”. Secondo alcune indiscrezioni giornalistiche, spiega l’esperto, dietro questo progetto ci sarebbe l’idea di creare una squadra di alto livello che diventi un simbolo nel panorama calcistico turco e che possa sfruttare la nuova visibilità data dalle concessioni di diritti tv all’estero, soprattutto in Medio Oriente: “Alcuni media turchi – dice – hanno scritto che beIN Sports (parte del colosso qatariota beIN Media Group di proprietà di Nasser Al-Khelaïfi, patron del Paris Saint-Germain, ndr), che si è aggiudicata i diritti per la trasmissione del campionato turco all’estero, sarebbe interessata a rilevare in futuro la squadra turca. Si tratterebbe di farne un simbolo anche fuori dai confini del paese, così da creare un Psg B”.

Contemporaneamente ai successi, alla consacrazione come una delle candidate alla vittoria del campionato e alla crescita nel numero dei suoi sostenitori, il Başakşehir non è riuscito ad attirare il rispetto delle altre tifoserie. “Sono la squadra di Erdoğan e dell’Ak Parti”, dicono. La vicinanza con il partito del Presidente è innegabile. Il nuovo stadio, ad esempio, sorge in un quartiere a prevalenza Akp e per la sua inaugurazione, tra le personalità scese in campo, c’era anche il presidente Erdoğan che indossava una maglia con il numero 12 che è stata immediatamente ritirata. Inoltre, il gruppo dirigente che ha rilevato la società di proprietà statale, sotto la guida dell’Akp, ha al suo interno personaggi molto vicini al Sultano, compreso il presidente Göksel Gümüsdag, sposato con la nipote della first lady turca e con un probabile futuro attivo nel partito.

Anche gli altri personaggi simbolo del club non sarebbero scelti a caso. Ad esempio, la stella Arda Turan, un vero eccesso per il campionato turco, è molto vicina a Erdoğan che è stato anche suo testimone di nozze. E anche il sogno che si deve ancora realizzare, Mesut Özil, va in quella direzione: nel maggio 2018, ad appena un mese dalle elezioni generali turche per il rinnovo dei parlamentari e la nomina del nuovo presidente della Repubblica, lui e un altro nazionale tedesco di origini turche, Ilkay Gündogan, avevano posato per una foto con Erdoğan, dopo uno scambio di strette di mano, magliette e autografi. Una scelta, quella dei due giocatori, che scatenò numerose polemiche in Germania. “I punti d’incontro sono diversi e innegabili – conclude Bottaro -, ma legare i successi del Başakşehir alla politica o sostenere che sia la squadragiocattolo usata per fare propaganda in favore di Erdoğan è sbagliato, lo dicono il campo e i fatti. Il presidente turco non si fa vedere allo stadio da un anno e mezzo, mentre non manca di farsi fotografare stringendo mani e indossando sciarpe di diversi club turchi, soprattutto in occasione di impegni europei. Anche la storia relativa ai colori delle mute, arancione e blu, gli stessi dell’Ak Parti, è una coincidenza: il blu era il colore del comune da cui ha origine la squadra, mentre l’arancione sarebbe stato aggiunto per volere di un ex sindaco che aveva vissuto nei Paesi Bassi. La verità è che questo piccolo club sta rivoluzionando il calcio turco e non mi sorprenderei se la stessa strada venisse intrapresa anche da altri presidenti”.

Twitter: @GianniRosini

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