Una donazione di 3,1 milioni di dollari per un progetto “dal basso” come Wikipedia è sempre una buona notizia. Quando la news è comparsa in Rete, però, qualcuno ha storto il naso. La generosa donazione, infatti, arriva da un soggetto che nessuno si aspetta possa avere un’autentica dedizione per la causa del “sapere libero” come Google. Tanto più che l’annuncio dell’azienda di Mountain View è arrivato in occasione del World Economic Forum di Davos, un consesso in cui concetti come “gratuità”; “collaborazione” e “progetto dal basso” non vanno proprio per la maggiore.

Diciamocelo: se esiste un’azienda che ha la vocazione per spremere denaro da qualsiasi tipo di attività è proprio Google. La creatura di Larry Page è una specie di tritacarne che riesce a trasformare in utili qualsiasi cosa: dalle abitudini dei suoi utenti alle semplici ricerche su Internet qualsiasi bit viene messo a valore sistematicamente. La donazione milionaria (e non è la prima, i contributi complessivi ammontano a 7,5 milioni di dollari) sembra quindi qualcosa che stride con la vocazione turbo-capitalistica  dell’azienda. Dall’altra parte, Wikipedia si propone come il prototipo di quella Internet aperta, libera e collaborativa che tanti hanno sognato e sognano tuttora.

Inevitabile che sul Web molti si siano “scandalizzati” accusando Wikipedia di essersi venduta al mercato. Tanto più che il gigante californiano non si sarebbe limitata a un contributo in denaro. Google ha infatti annunciato di voler fornire a Wikipedia anche un contributo tecnologico, mettendo a disposizione dei gestori dell’enciclopedia libera anche sistemi di intelligenza artificiale che dovrebbero permettere alla fondazione di sfruttare le nuove tecniche per migliorare la sua efficienza.

Il tutto ha scatenato un discreto numero di complottisti che all’urlo di “vergogna, indigniamoci” hanno classificato l’operazione come un tradimento da parte di Wikipedia. Ecco, quelli possiamo lasciarli nel loro brodo a parlare di Soros e signoraggio. La parte interessante della vicenda, piuttosto, è quella che accende i riflettori sulla logica che giustifica l’interesse di Google a mantenere in vita Wikipedia. Non si tratta certo di filantropia o di disinteressato altruismo. Si tratta di un semplice investimento. Dal momento che Google guadagna dall’analisi dei comportamenti online degli utenti, e che per registrare questi comportamenti è necessario che visitino (o condividano) contenuti, Google ha tutto l’interesse a che il Web abbia contenuti e, possibilmente, che aumentino esponenzialmente. Wikipedia, da questo punto di vista, è una miniera d’oro che per Google (che integra i risultati di Wikipedia anche nella sua pagina del motore di ricerca) ha un valore inestimabile.

Il ragionamento, però, può e deve andare oltre Wikipedia. A distanza di anni dalla nascita del cosiddetto Web 2.0, cioè quel calderone in cui ogni utente Internet assume allo stesso tempo il ruolo di fruitore di contenuti e creatore degli stessi, il rapporto tra Google e Wikipedia mette a fuoco con nitidezza la trasformazione del sistema economico in cui viviamo, in cui tutto ruota intorno a un meccanismo di estrazione di valore da quelle attività che fino a poco tempo fa erano considerate prive di una componente economica. È la dimostrazione, messa nero su bianco (in questo caso su un assegno) del fatto che la produzione di contenuti rappresenta oggi un fattore fondamentale del sistema economico. Di fronte a questa constatazione si apre l’occasione di andare oltre la semplicistica e velleitaria reazione di volersi “tirare fuori” dal sistema di monetizzazione dei contenuti che creiamo. Perché non cominciare a ragionare sul fatto che ogni attività che produce ricchezza dovrebbe essere retribuita? Rivendicarlo non è facile, ma comprenderlo è già qualcosa. Il primo passo di ogni cambiamento, d’altra parte è la presa di coscienza.

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