Ormai dovrebbe essere chiaro a tutti che l’epoca attuale non è più fondata sul lavoro, ma sul debito. Con tanti saluti all’articolo 1 della Costituzione. Il debito accomuna tutti i cittadini – salvo poche e fortunate categorie di nicchia – e persino tutti gli Stati, quantomeno quelli dell’area euro. Oggi, però, non si vive a debito solo per quanto concerne i consumi, per così dire, voluttuari: vacanze, autovetture, tecnologia. Ora il fenomeno riguarda anche i consumi “salva-salute” se non, addirittura, “salva-vita”.

Lo conferma una notizia freschissima. Riguarda un rapporto sulla povertà sanitaria dell’Agenzia Italiana del Farmaco che ha monitorato le richieste di medicinali da parte di persone in difficoltà economiche. Nell’ultimo quinquennio, è aumentata del 22 per cento e ha avuto come destinatario il Banco Farmaceutico. Quest’ultimo è una fondazione no profit alla quale si rivolgono gli enti caritatevoli e assistenziali che, per missione, si occupano delle persone disagiate e in difficoltà che necessitano di medicinali e prodotti farmaceutici e non hanno i soldi per comprarseli. Così, di regola, rinunciano alle cure. Ebbene, nel 2017 12 milioni di italiani hanno procrastinato le terapie o hanno addirittura rinunciato a procurarsi le medicine per carenza di risorse.

Oppure, hanno contratto dei debiti. Basti pensare che lo scorso anno le banche hanno erogato prestiti per 400 milioni di euro a pazienti poveri, con un aumento netto di ben 60 milioni di euro rispetto a due anni prima. Le statistiche, in proposito, fanno davvero paura se è vero, come è vero, che solo il 42 per cento degli italiani si auto-finanzia la salute attraverso i cosiddetti “redditi correnti” (e cioè entrate periodiche mensili tipo pensioni e stipendi). Il 23,3 per cento deve attingere ai risparmi messi da parte nel corso di una vita e il 35,6 per cento è costretto a fare i classici “salti mortali” cioè, appunto, ricorrere al “credito al consumo” che poi, in realtà, si trasforma in un debito permanente periodicamente rinnovato.

Nel 2015, 2,6 milioni di famiglie hanno deciso, con lucida consapevolezza, di rinunciare alle cure per mancanza di fondi mentre un milione di esse è stato soggetto, nel corso dell’anno, a spese “catastrofiche” cioè imprevedibili e tali da oltrepassare le disponibilità economiche del nucleo familiare. La povertà sanitaria di cui parla il rapporto dell’Agenzia italiana del farmaco è impressionante. Nell’anno in corso più di 539.000 cittadini italiani sono riusciti a reperire i farmaci di cui avevano necessità solo grazie all’intervento di onlus, associazioni no profit, enti assistenziali i quali hanno attinto dalle mani del Banco Farmaceutico. L’aspetto odioso di tale situazione è che il sistema sembra scientificamente concepito per generare iniquità sociale.

Infatti, sono proprio le famiglie povere a risultare più colpite. Esse destinano il 2,54 per cento della propria capacità di spesa complessiva alla salute, mentre quelle benestanti riescono a veicolare un 4,49 per cento. Ma ciò non deve stupire. La deriva privatistica del sistema sanitario italiano, come dimostra l’ultimo rapporto Censis-RBM del 2018, produce squilibri che vanno ad incidere proprio sulle classi più basse e sulle fasce più deboli e disagiate della popolazione. E non scordiamoci questo dato: su 6,7 miliardi di incremento di spesa sanitaria negli ultimi sette anni, il 95 per cento è stato coperto da famiglie e privati e solo il 5 per cento dallo Stato.

In questo contesto è fondamentale che i contribuenti siano consapevoli dei loro diritti. Per esempio, tutti devono sapere che esiste un Nomenclatore tariffario (licenziato dal DM 329 del 1999 come modificato dal DM 21 maggio 2001, n. 296 e dal DM 18 maggio 2001, n. 279) che contiene l’elenco di tutte le protesi, i presidi, i dispositivi di assistenza che il Sistema Sanitario ha l’obbligo di garantire gratuitamente a una nutrita categoria di soggetti: invalidi civili e di guerra, sordomuti, minori con invalidità permanente, individui con invalidità superiore al 33 per cento in attesa dell’esito di una visita della Commissione Asl, pazienti vittime di amputazioni, mastectomia, tracheotomia, laringectomia, incontinenti o portatori di catetere.

Costoro, e molti altri indicati nell’elenco, una volta inoltrata la prescrizione medica all’Asl competente, hanno diritto di ricevere il sussidio di cui necessitano o dall’Asl stessa o da fornitori privati di propria fiducia entro venti giorni. Se la risposta non arriva, vale il principio del silenzio assenso. Ma c’è di più. Se un determinato strumento non è previsto dal nomenclatore, ma è assimilabile a uno di quelli presenti nella lista, l’Asl dovrà pagare il relativo costo fino a concorrenza di quello ufficialmente contemplato dal nomenclatore. In conclusione, non deve passare il messaggio, sbagliato, che solo la caritatevole bontà di cuore di qualche associazione privata possa fornire l’assistenza e le cure che lo Stato deve fornire gratuitamente agli indigenti a mente dell’articolo 32 della Costituzione.

di Francesco Carraro e Massimo Quezel

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