Apprendo con una certa tristezza nel cuore dell’incendio che ha devastato il centro rifiuti sulla Salaria a Roma. Soffro realmente quando vedo come, nella nostra Italia, patria di grandi scienziati, si parla ancora di rifiuti da trattare con inceneritori o, come molti impropriamente li definiscono, “termovalorizzatori”. In questo caso, si parla di un impianto di trattamento meccanico di selezione dei rifiuti, dove viene prodotto il combustibile da rifiuto (CDR), cioè particelle a base plastica, che serve come combustibile da immettere sul mercato.

Personalmente, ho sempre ritenuto queste strategie di gestione dei rifiuti come palliativi alle soluzioni finali di riciclo e riuso dettate dalle normative europee. Questi impianti, infatti, hanno lo scopo di creare un combustibile che viene definito “sostenibile”, ma che in realtà, essendo a base prevalentemente plastica, quando bruciato emette inevitabili diossine e particolati vari, che certo non sono sostenibili per la salute degli esseri viventi.

Qualcuno ovviamente obietterà, dicendo: “Ma allora cosa facciamo con i rifiuti, se non li vogliamo bruciare negli inceneritori e non li vogliamo trattare per farli diventare, appunto CDR?”.

Va chiarito che, qualunque soluzione si adotti, rimane sempre un residuo da smaltire in discarica, comunque si voglia. Però, anche qui, va fatta una comparazione tra i sistemi. Tratte i rifiuti negli inceneritori, lascia un residuo di ceneri che rappresenta circa il 30% di ciò che si vuole bruciare e si tratta di rifiuti speciali che vanno conferiti a discariche ad alto livello di pericolosità ambientale; producendo il CDR, siamo più o meno sulle stesse percentuali, dato che alla fine sempre di combustione si tratta. Con il trattamento spinto della separazione dei rifiuti, riconducendoli alla forma di “materia prima-seconda”, si riesce ad arrivare a residui, non pericolosi, del 5-10%; e conferirli ad una discarica con livelli ordinari.

Serve anche riflettete, ovviamente, sui livelli di raccolta differenziata che in certe località sono davvero insostenibili. Questo percorso va sicuramente spinto con convinzione, anche a costo di scontrarsi con gli inevitabili interessi lobbistici che vorrebbero mantenere lo status quo, che per molti rappresenta garanzia di introiti dati dalla gestione di prodotto indifferenziato in livelli elevati.

Sarebbe bello vedere un Paese come il nostro che riesce ad intraprendere una strada di gestione dei rifiuti più sostenibile, intendendo con “sostenibilità” non certo un percorso di combustione, bensì un processo di valorizzazione delle materie prime che compongono i residui di indifferenziato che, non dimentichiamolo, rimangono per un’elevata percentuale a base plastica, quindi possono essere ricondotti al riuso. Esiste un progetto reale di questa tecnologia? Certamente. Lo proponemmo proprio in Trentino, come alternativa alla costruzione di un inceneritore. Non fu realizzato, per scelte politiche diverse, ma rimane un progetto guida che potrebbe davvero essere preso come riferimento per tentare nuove vie, più sostenibili ambientalmente. Un impianto di selezione meccanica molto spinto, che permetteva il recupero materie prime tali per cui si poteva reimpiegarle per la costruzione di suppellettili a base plastica; il progetto era noto come “progetto Cerani”, dal nome del progettista.

Lo so, è difficile convergere su questi temi: molti sono gli interessi in gioco sulla gestione dei rifiuti, molte sono le lobby che spingono verso gli inceneritori o verso la produzione di CDR. Forse, gli ambientalisti potrebbero coalizzarsi e creare, a loro volta, una nuova lobby che, per una volta tanto, non sia solo portatrice di interessi economici, ma anche a tutela della vera salvaguardia ambientale. Ma questa, ovviamente, è utopia pura.

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