È stato uno dei temi del giorno. Il ministro dell’Istruzione Marco Bussetti ha parlato dei compiti per le vacanze. Di quelli che gli insegnanti avevano intenzione di assegnare per la sosta di Natale. “Vorrei sensibilizzare il corpo docente e le scuole a un momento di riposo degli studenti e delle famiglie affinché vengano diminuiti i compiti durante le vacanze natalizie“, ha detto il ministro. La notizia è stata riportata, commentata, quasi vivisezionata. Naturalmente le reazioni, contrastanti. Da un lato gli eterni favorevoli, dall’altro i nuovi contrari. Gli schieramenti definiti, da tempo. Con l’appoggio di esperti, psicologi, presidi e docenti e i genitori, naturalmente.

L’argomento ha un suo innegabile appeal. Le vacanze sono lunghe, ma non lunghissime. Un po’ di riposo per i ragazzi ci vuole. E poi quante sono le famiglie che si lasciano scappare l’occasione per una visita ai parenti di Palermo oppure a quelli di Bolzano? Quante quelle che non mettono in conto di concedersi qualche giorno di relax in qualcuna delle reclamizzate città d’arte italiane? Quante quelle che non decidono di regalarsi una sciata in qualche località di montagna? Molti ragazzi e tanti genitori sono d’accordo. Il supplizio dei compiti va evitato. A ogni costo. C’è chi suggerisce di sostituire problemi di matematica ed esercizi di grammatica, frasi di analisi logica e pagine di storia, capitoli di letteratura e disegni di arte con la lettura. Insomma libri nei quali sprofondare, piuttosto che pagine da studiare oppure quesiti da risolvere. Qualcun altro sponsorizza visite a luoghi della cultura. Passeggiate alla scoperta di musei, palazzi storici e aree archeologiche piuttosto che solitarie riflessioni sulle lezioni assegnate. Sarebbe bello! Se i compiti a casa fossero sostituiti da appassionate letture di capolavori del presente e del passato oppure dalla conoscenza diretta della nostra Storia. Sarebbe bello se, eliminando il supplizio, si sperimentassero davvero i romanzi di Italo Calvino e di Elena Ferrante, si andasse in musei finora ignoti, malgrado vicini.

Nella realtà, però, questa circostanza si verifica raramente. Molto più facilmente accade che il tempo liberato dai compiti venga occupato dalla virtualità che la Rete offre, sempre. Social, ma anche videogiochi. Sono in molti ad avvertire che il pericolo possa essere questo. Il problema credo, però, sia un altro. Un’altra la prospettiva con la quale osservare la questione. È vero: i compiti, almeno durante la pausa di Natale, sono un assillo. Lo sono per i ragazzi, non diversamente che per i genitori. Costretti anche loro a tradurre versioni di latino, risolvere problemi di fisica, fare riassunti di geografia e magari a leggere il libro delle vacanze e poi cimentarsi nella celebre scheda. Tutto questo non serve, è evidente. Non è utile a nessuno. Non aiuta. Non forma. Semmai alimenta contrarietà. Allontana invece che avvicinare. Servirebbe uno iato nelle fatiche scolastiche.

Servirebbe una pausa, anche di riflessione. Un vuoto da lasciare così. Servirebbe del tempo per pensare. Anzi per non pensare. Per scoprire magari cosa significhi annoiarsi. Per sperimentare cosa voglia dire perdersi nei propri pensieri. E non per trovare risposte filosofiche e definitive alle proprie incertezze, ma soltanto per il gusto di sprofondare nei sogni che l’età impone. Tempo per se stessi. Veramente.

“Quando si è bambini la domenica è spesso guastata dai compiti da finire. Dopo un quarto di secolo d’insegnamento ho il ricordo degli ultimi compiti rimasti da correggere a fine pomeriggio. Mia figlia mi chiedeva di giocare con lei e io dovevo rifiutare. Molti figli di insegnanti hanno il ricordo di genitori poco disponibili la domenica sera”. Daniel Pennac scriveva così sull’Avvenire il 1 gennaio 2013. Tratteggiando l’angoscia di studenti e professori per i compiti. Da fare e da correggere. Professori non guastate, vi prego, le vacanze di Natale dei vostri alunni. Né le vostre. Regalatevi pensieri e tempo.

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