L’Italia sarà il primo laboratorio di ricerca per comprendere i rischi sulla salute umana prodotti dai cambiamenti climatici. Per studiare, quindi, gli effetti di ondate di calore, piogge intense e allagamenti sul nostro organismo, inclusa la nostra mente. Su impulso dell’Istituto superiore di Sanità, oltre cinquecento ricercatori da più di 30 Paesi, si sono riuniti a Roma fino al 6 dicembre, per discutere e formulare raccomandazioni basate su evidenze scientifiche e azioni utili da suggerire ai politici di tutto il mondo, da inserire nella Carta internazionale di Roma. “Il primo documento al mondo su clima e salute – annuncia con una punta di orgoglio il presidente dell’Istituto, Walter Ricciardi – L’Oms ci dice che entro 20 anni i morti provati dai cambiamenti climatici saranno 250mila all’anno e noi scienziati abbiamo il dovere di informare i cittadini su questo problema e aiutare i politici a intervenire in modo rapido ed efficace. Le morti e l’aumento delle malattie correlato all’innalzamento delle temperature, alle siccità, agli uragani, incendi, agisce come un olocausto a fuoco lento, senza che noi ce ne rendiamo conto. Fra due generazioni, se non faremo qualcosa, i danni saranno irreversibili”.

L’Italia presenta le caratteristiche di un laboratorio a cielo aperto per la sua posizione geografica, le peculiarità delle sue catene montuose e dei suoi fiumi, l’estensione longitudinale e le varietà climatiche. “Nell’area del Mediterraneo il riscaldamento è superiore alla media globale – precisa Franco Desiato, climatologo dell’Ispra -. Il 2018 in Italia è stato l’anno più caldo degli ultimi 50, con temperature più alte di 1,7 gradi. Invece, per quanto riguarda l’intensità delle precipitazioni manca ancora un’evidenza statistica, le serie storiche a nostra disposizione al momento non bastano per giungere a delle conclusioni certe”.

Uno dei fenomeni sotto la lente del ministero della Salute sono i giorni di ondata di calore (che d’estate fanno registrare temperature elevate oltre lo standard, che possono durare giorni o settimane). Il ministero dal 2003 ha attivato un sistema di sorveglianza in 35 città per rilevare il numero di morti causati dai picchi di caldo. A coordinarlo è il dipartimento di Epidemiologia ambientale della Regione Lazio, che in uno studio ha prospettato lo scenario italiano tra il 2021 e il 2050: mediamente dai 5,5 agli 8,4 giorni di ondate di calore in più all’anno e un aumento medio del cento per cento del numero dei decessi correlati, pari a 700 l’anno contro i 363 registrati annualmente nel periodo 1995-2010. Una letalità destinata a schizzare entro il 2100, quando, secondo una stima dell’Istituto nazionale di vulcanologia, i giorni di ondata di calore sulla Penisola cresceranno in modo esponenziale, da 75 fino a 250 l’anno. “I più vulnerabili sono i bambini perché hanno un apparato respiratorio ancora immaturo e un sistema di termoregolazione meno efficiente degli adulti” sottolinea Paola Michelozzi, responsabile dell’unità di epidemiologia ambientale, che sta portando avanti un’altra indagine specifica per valutare gli effetti del caldo sui ricoveri ospedalieri nei bambini residenti in 12 città italiane tra 2010 e 2015. Quello che è emerso finora è un incremento del 12 per cento nei ricoveri per problemi respiratori associati a una variazione della temperatura giornaliera, pari in media a circa quattro gradi in più. “L’impatto – anticipa a ilfatto.it Michelozzi – è più forte nella fascia 0-4 anni, e nelle città del Sud, dove l’innalzamento di 4 gradi della temperatura comporta un incremento del 40 per cento degli accessi in ospedale”.

La salute respiratoria dei bambini è mesa a dura prova anche da piogge torrenziali e alluvioni, che portano a livelli più alti di umidità e muffe nelle abitazioni; dal prolungamento della stagione pollinica e dalla diffusione delle piante allergizzanti in zone dove prima non c’erano. Nel mondo, denuncia l’Oms, circa il 50 per cento dei decessi in età pediatrica è causato da diarrea, malaria e infezioni alle basse vie respiratorie, conseguenti all’impazzimento del clima.

Anche l’inquinamento dell’atmosfera incide sulle variazioni climatiche. L’Iss in questi anni ha svolto una serie di importanti studi epidemiologici sull’impatto dei siti contaminati in attesa di bonifica (sin), da Gela a Taranto, dalla Terra dei Fuochi ai laghi di Mantova e Porto Marghera, sulla nostra salute. I bambini anche in questo caso sono i più esposti alle sostanze tossiche. Il progetto Sentieri nel 2018 per la prima volta ha incluso uno studio epidemiologico dedicato a loro. “I bambini hanno una maggiore esposizione per unità di peso corporeo rispetto agli adulti, con tassi di respirazione più elevati e passano più tempo all’aria aperta – spiega Ivano Iavarone, direttore del centro collaborativo Iss – Oms su Ambiente e salute nei sin -. Quelli con meno di un anno di vita che risiedono nei siti, 117 mila, 7mila in più rispetto alla media nazionale, sono finiti all’ospedale per cause naturali; e tra questi, il 30 per cento, cioè circa 2 mila in più della media italiana, è stato ricoverato per condizioni morbose di origine perinatale, per esempio disordini respiratori, cardiovascolari, endocrini e metabolici. Mentre quelli di età pediatrica, fino a 14 anni – conclude -, abbiamo rilevato 22mila ricoveri in più, sempre per cause naturali, tra cui 4mila per malattie respiratorie acute e 2mila per asma”.

Con il verificarsi di precipitazioni intense, aumentano alcune patologie infettive trasmesse da agenti legati all’acqua (come epatite A e legionellosi; cfr studio Iss del 2010 su dati del 2003-2009) e le malattie trasmesse dall’animale all’uomo. I vettori sono soprattutto zanzare, zecche, pulci. “Il clima influenza il comportamento e l’attività degli animali, oggi c’è un’abbondanza degli habitat per la riproduzione di zanzare per esempio e da qui si spiega il dilagare dei casi di West Nile in pianura – fa presente Umberto Agrimi, ricercatore Iss -. Ma anche un recente e improvviso incremento di hantavirus nei topi roditori nell’Italia settentrionale, per via degli inverni più miti, che provoca febbri emorragiche e che si contrae tramite la manipolazione di oggetti e superfici contaminate dal roditore”.

Il cambiamento climatico in Italia ha avuto pesanti ricadute anche sulla disponibilità e sulla qualità dell’acqua. Nel 2017, secondo i dati Istat, i quattro fiumi principali (Po, Adige, Tevere e Arno) hanno diminuito le loro portate medie annue all’incirca del 40 per cento se confrontate con quelle del trentennio 1981-2010. “Sempre l’anno scorso 6 regioni su 20 hanno chiesto lo stato di emergenza per carenze idriche, come il Lazio e la stessa città di Roma – ricorda Luca Lucentini, direttore del reparto Igiene acque interne dell’Iss -. Se le falde idriche si prosciugano, oggi non abbiamo sistemi avanzati di riserve d’acqua, come i laghi artificiali e reti interconnesse per prelevare acqua altrove. Non sono stati fatti investimenti neanche per potenziare i depuratori e i potabilizzatori quando devono smaltire i volumi di acqua in eccesso in caso di alluvioni e piogge intense. Per questo i Comuni, in seguito a eventi estremi, si trovano a fare delle ordinanze di divieto dell’uso dell’acqua potabile in quanto torbida e contaminata”.

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