Non è facile scegliere un motivo per cui ricordare Enzo Tortora nel novantesimo della sua nascita. Gli episodi, i fatti, i prodotti di cui è stato autore, protagonista anche involontario e infine vittima sono tanti e tanto significativi che la sua storia personale è diventata simbolica di un intero ampio arco di storia nazionale del secolo scorso.

Non si possono certo trascurare le sue prime presenze nelle piazze celebrate dalla tv delle origini, quando attraverso Telematch o Campanile sera la Rai costruiva il suo legame con la vita quotidiana della provincia italiana. Né si può dimenticare la sua esperienza di conduttore della Domenica sportiva, il più antico programma della televisione italiana che nella sua mani si trasformò in un prodotto molto più moderno, una sorta di talk show, quando di questo fortunato genere non si conosceva neppure la parola.

E non si può rimuovere l’assurda tragedia che lo segnò per sempre fino alla scomparsa: l’accusa infamante e la persecuzione di una parte dell’opinione pubblica, il processo, la condanna e il carcere, l’assoluzione e il malinconico ritorno sui teleschermi, quasi presagio della sua prossima fine.

Eppure io vorrei, in questa occasione – state certi non per cinismo o indifferenza – fare un passo indietro rispetto a questa terribile vicenda. Tornare al momento precedente, all’arrivo sui teleschermi del suo Portobello, al successo clamoroso, ai venti milioni di spettatori, al programma che diventa fenomeno del costume nazionale. Di Portobello si tende giustamente negli ultimi tempi a valorizzare la copiosa eredità che ha lasciato, a ricordare come sia stato una miniera di idee per le varie reti televisive con i suoi siparietti, da Fiori d’arancio a Dove sei?, diventati format di successo nelle stagioni successive.

Ma non meno importante della sua eredità è l’origine di Portobello. Il programma nasce in un momento assai speciale della storia delle tv e della società italiane. Sono gli anni del boom delle reti locali, che fanno concorrenza al servizio pubblico con i loro programmi ruspanti, popolari, spesso raffazzonati in cui il pubblico, la gente comune si ritaglia un ruolo da protagonista. Tortora che ha frequentato spesso questo mondo, prima con la fugace avventura di TeleBiella di Peppo Sacchi e poi con le più solide iniziative di Renzo Villa a TeleAltoMilanese e a Antenna 3, realizza il suo colpo di genio, trasferendo quel bisogno di protagonismo, quell’ansia di partecipazione in un prodotto molto più raffinato e strutturato, quale era appunto Portobello.

La lezione che quella singolare vicenda ci ha lasciato è fondamentale e più che mai attuale. Si tratta della scelta di coniugare le esigenze di qualità irrinunciabili per il servizio pubblico con le spinte che vengono da fuori, dal basso, dall’esterno del palazzo, spinte anche confuse, da rimodellare senza mai snobbarle. Una scelta difficile da realizzare, per la quale ci vuole un particolare talento che Tortora aveva, una scelta sempre da ricordare.

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La Tv delle Ragazze stanche. Una satira vecchia per masse rincoglionite

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