Ho sistemato l’ambulatorio medico con Stefano, infermiere di Bologna, tuttofare. Ha fissato alle pareti del container i mobili per non farli cadere durante le oscillazioni. Equipaggiamento e farmaci secondo le cause di malattia che la letteratura scientifica dei soccorsi in mare indica come preponderanti nelle persone che cercano rifugio: una popolazione sana, a cui la precarietà del viaggio può aver determinato ipotermia, ustioni da benzina e acqua di mare, disidratazione e ferite lacero-contuse. Roberto, il medico che prima di me ha operato su Mediterranea, ha organizzato l’ambulatorio in maniera meticolosa, senza ansie da prestazione e fronzoli: c’è tutto ciò che è essenziale, ma soprattutto non c’è quella strumentazione medica pretenziosa che poi risulterebbe ingombrante e difficilmente utilizzabile. Le sacche per i morti sono in un angolino, in fondo, quasi nascoste.

In questi giorni di osservazione ci siamo sottoposti a varie diverse esercitazioni per fasi del soccorso, di giorno e di notte: messa a mare delle lance di salvataggio; recupero dei naufraghi in mare; recupero delle persone stipate su barche di fortuna; e imbarco a bordo, la fase più delicata e difficile. Il team di volontari e l’equipaggio di marinai professionisti si stanno integrando, piano piano si cresce, stiamo diventando una comunità. Impariamo insieme i protocolli e le procedure da Kim, un marinaio inglese espertissimo e da Riccardo, il capitano di Astral, a bordo con noi.

A me il compito di orientare l’equipaggio su gestione e priorità mediche; molti dei marinai hanno già ricevuto una formazione di primo soccorso. Appena a bordo, la prima persona che gli ospiti incontrano è il medico, per la procedura di triage. Pochi secondi per ognuno: le donne con bambini ed i minori non accompagnati vanno separati dagli uomini, ma soprattutto vanno separati i sani dai malati e da chi odora di nafta. Con sorriso e disciplina, tutti seduti e fermi: non può diventare un momento caotico.

Il triage è una procedura necessariamente rapida, fondamentale per non concentrarsi sulla cura di una sola persona senza conoscere la condizione degli altri. L’ho già fatto nei pronto soccorsi pediatrici italiani, negli ambulatori del campo di rifugiati di Mayo in Sudan, ma anche nella valle del Panshir in Afghanistan. La valutazione sulla priorità salva vite ed ottimizza il lavoro. Allo smistamento si associa il posizionamento di braccialetti colorati e con un numero progressivo. Via i vestiti, coperte termiche, acqua, sali minerali e barrette energetiche. I migranti non sanno chi siamo: la nave batte bandiera italiana, è suolo italiano. “Benvenuti in Europa, benvenuti in Italia”. Le persone hanno il terrore di essere riportate in Libia. E’ questo il momento, dopo molto tempo, del primo sorriso.

Sono felice di trovarmi su Mare Jonio: è l’importanza ed il dovere di esserci per conoscere, imparare e capire. Perché il giorno in cui sono diventato medico ho giurato di aiutare chi soffre. In questo mare, dove si muore, non ci sono ambulanze tranne la Mare Jonio di Mediterranea Saving Humans. Esserci e quindi capire significa magari, dopo, anche avere gli strumenti cognitivi per proporre delle soluzioni. Esserci e stare, non la passerella per dichiarare. Ero a Riace questa estate a osservare un modello di integrazione efficace. A Isola Capo Rizzuto, per sapere che sapore ha un pomodoro coltivato su un terreno confiscato alla mafia. A Rosarno, a Como, a Brescia per capire chi accoglie ed integra, chi è assente e chi specula a fini economici sulla vita di chi è vulnerabile ed in cerca un rifugio. Ero a Lodi con i miei figli per affiancare le madri che non accettano la segregazione scolastica. L’importanza di esserci, di essere testimone della Storia che non deve ripetersi, mi ha portato ad imbarcarmi come medico. Considero la politica un patto sociale di solidarietà a tutela di chi non ha voce o strumenti per difendersi, un voto verso la cittadinanza a salvaguardia dell’umanità. Ha scritto Gandhi: “La mia devozione nei confronti della verità mi ha condotto alla politica”.

Sono le 05.00 del mattino, inizia il mio turno in avvistamento. All’orizzonte le luci delle piattaforme petrolifere mi ricordano la frase di un insegnante del Malawi: “Noi siamo un Paese poverissimo, ma il non avere risorse energetiche, almeno, ci ha evitato di conoscere la guerra”. Le piattaforme hanno luci grandi, ma se vedessi una luce piccolina piccolina, in qualche angolo di orizzonte…

Foto tratta dal profilo Twitter di Mediterranea Saving Humans

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