Le strategie per prevenire la corruzione adottate dai Comuni italiani sono ancora troppo deboli, a iniziare dalla capacità di rilevarla. Basti pensare che nel 2017, in 99 Comuni sui 115 capoluoghi di Provincia (l’86% del totale) non è stato constatato nemmeno un caso di corruzione al proprio interno. Eppure la cronaca di tutti i giorni nel 2017 ci ha raccontato una storia molto diversa. È quanto emerge dallo studio ‘L’anticorruzione nei comuni italiani’ curato da Civico97, Transparency International Italia e Riparte il futuro in vista della prossima Assemblea dell’Associazione Nazionale Comuni Italiani che parte oggi a Rimini. Nell’analisi si valutano in primo luogo le relazioni dei Responsabili per la Prevenzione della Corruzione (RPC) nei 115 Comuni per il 2015, il 2016 e il 2017, nelle quali non c’è traccia di diversi casi che sono stati poi oggetto di indagine. Questo significa che sono ancora troppo lenti gli effetti di quell’operazione avviata con la legge 190 del 2012, la legge Severino e che avrebbe dovuto portare a un meccanismo di autodenuncia di casi di corruzione all’interno della Pubblica amministrazione. Tuttavia, secondo gli autori dello studio, il dato delle Relazioni risulta viziato dalla mancanza di una definizione precisa e condivisa di cosa sia un “evento corruttivo”, in merito al quale Anac non ha dato indicazioni precise agli enti pubblici.

LA CORRUZIONE DI CUI NON C’È TRACCIA – Secondo quanto indicato dalla legge 190/2012, ogni anno, i RPC hanno il compito di pubblicare nel sito web dell’amministrazione di loro appartenenza una Relazione recante i risultati dell’attività svolta durante l’anno precedente in tema di prevenzione del fenomeno corruttivo. Dall’analisi di questi documenti risulta che, sempre nel corso del 2017, l’85,2% delle amministrazioni monitorate (98 su 115) non ha raccolto alcuna segnalazione di corruzione da parte dei dipendenti dei Comuni e delle società partecipate, segnando un calo del 10% rispetto ai dati rilevati nel 2016. I comuni capaci di trovare gli illeciti, che erano 23 nel 2015 e 24 nel 2016, nel 2017 sono stati appena 16. Questo nonostante lo scorso anno siano stati 108 su 115 i Comuni che hanno adottato procedure di Whistleblowing, introdotte in Italia dalla legge 179 del 30 novembre 2017 allo scopo di tutelare il lavoratore che segnali attività illecite delle quali sia venuto a conoscenza nell’ambito del rapporto di lavoro. L’email rimane sempre il canale preferito per segnalare (nel 2017, per oltre il 60% degli enti) poiché è considerata più semplice da attivare.

LA TUTELA DI CHI DENUNCIA – Ma se la legge 179/2017 obbliga tutte le amministrazioni ad adottare almeno uno strumento che permetta di garantire la riservatezza del segnalante, nei fatti questi sistemi non sono attivi in tutti i Comuni. E qualche effetto c’è: se nel 2015 erano stati 78 i dipendenti della Pa autori di segnalazioni e nel 2016 130, nel 2017 si è scesi a 68. I Comuni che hanno ricevuto segnalazioni dai dipendenti? Nel 2015 erano 23, nel 2016 erano 21 e nel 2017, anche in questo caso, c’è stato un calo e si è arrivati a 17 amministrazioni. “Gli enti pubblici devono adottare quanto prima dei sistemi informatici di segnalazione in grado di garantire la sicurezza e l’anonimato del segnalante” ha dichiarato Davide Del Monte, direttore esecutivo di Transparency International Italia. “Purtroppo viviamo in un Paese in cui chi segnala un caso di corruzione è ancora identificato come lo spione – ha sottolineato – viene discriminato e rischia addirittura il posto di lavoro. Per questo bisogna utilizzare tutti i mezzi necessari per difendere queste persone e la loro identità”.

IL CONFRONTO CON LA MAPPA DELLA CORRUZIONE – Il risultato delle mancate segnalazioni si evince anche incrociando i dati contenuti nelle relazioni con i risultati raccolti nel 2017 dal portale ‘La mappa della corruzione’ di Transparency International Italia1. Il risultato è emblematico, perché ci sono una serie di casi di cui nelle relazioni non c’è traccia. Tra questi l’indagine che, ad Alessandria, ha riguardato un consulente e compagno della sindaca indagato per aver tentato di convincerla a cedere rami di un’azienda comunale, piuttosto che l’inchiesta, a Brindisi, nei confronti del comandante della polizia municipale per corruzione e induzione indebita. Ancora: a Caserta il Comune non è stato in grado di rilevare il caso di un dirigente della polizia municipale poi arrestato per aver chiesto una tangente a una società per la raccolta dei rifiuti. Tra l’altro lo stesso dirigente e l’ex sindaco sono stati indagati per aver rilasciato permessi edilizi irregolari. A Firenze, nessuna traccia nella relazione dei Responsabili della Prevenzione della Corruzione della condotta del dirigente del Servizio Sport sospeso per turbativa d’asta insieme al funzionario istruttore in merito all’andamento in concessione della palestra e della piscina San Marcellino e dell’impianto sportivo Paganelli. I casi sono diversi: dal rinvio a giudizio, a Latina, dell’ex vicesindaco, di diversi funzionari e dirigenti del Comune nell’ambito dell’inchiesta sull’andamento dei servizi di manutenzione del verde pubblico, fino all’inchiesta che ha coinvolto, a Lecce, sindaco, ex sindaca e alcuni componenti della giunta indagati per l’assegnazione irregolare di case popolari. Quattro funzionari sono finiti nel registro del pm per l’assegnazione di appalti in materia idrica, mentre due funzionari sono stati arrestati in seguito a indagini sull’antiracket.

UN PROCESSO LUNGO – “Emerge con chiarezza come i responsabili anticorruzione si trovino disarmati e non possano autenticamente vigilare con attività ispettive”, ha commentato Federico Anghelé responsabile relazioni istituzionali di Riparte il futuro. Eppure qualcosa di muove e qualche dato positivo c’è. Come quello sul numero di segnalazioni provenienti da soggetti esterni all’amministrazione. Dai 20 del 2016, si è passati ai 42 del 2017. E, a riguardo, va sottolineato che solo la legge 179 ha imposto ai Comuni (da dicembre 2017) l’obbligo di prendere in considerazioni queste denunce. Cambiano, anche se a rilento, trasparenza e accessibilità della PA: nel 2017, 100 enti pubblici su 115 hanno dichiarato di aver ricevuto una o più istanze di accesso civico generalizzato, ovvero richieste da parte dei cittadini di accedere agli atti detenuti dalle amministrazioni. La normativa sull’accesso alle informazioni introdotta nel 2016 (FOIA) ha chiaramente aumentato il livello di responsabilizzazione degli enti pubblici, ma il processo risulta ancora molto lento.

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