Reddito di cittadinanza? No, chiamiamolo sussidio di povertà”. La Rete dei Numeri Pari boccia la manovra e in particolare le misure di welfare “che welfare non è” introdotte dal governo gialloverde, con in testa il reddito. La rete – contenitore di associazioni ed esperienze territoriali che si occupano di contrasto alle mafie, lotta per i diritti e alle diseguaglianze e che vede aderire realtà come Libera di don Ciotti – ha tenuto questa mattina una conferenza stampa presso la sede della Federazione Nazionale della Stampa. Ne è emerso un giudizio critico nei confronti di una finanziaria che “istituzionalizza la povertà e il darwinismo sociale” discriminando “su basi etniche e razziali” persone a cui si dice “quali spese morali compiere”. “E’ un reddito introdotto a debito – afferma il coordinatore Giuseppe De Marzo – e non attraverso la fiscalità. In questo modo non si agiscono sulle cause che portano le diseguaglianze e, di conseguenza, non si contrastano”.

Un tema, quello del “reddito di base” che da possibile investimento sociale diventa “elemento di controllo”, ricorrente nelle valutazioni degli aderenti alla rete. “Questa manovra – ha spiegato Giuseppe Allegri, di Basic Income Network Italia – persegue la lotta ai poveri, agli esclusi e agli emarginati, ma non alla povertà, all’esclusione e alla precarietà”. In particolare “io ti controllo per cui devi passare per una mia rete burocratica di riferimento, attraverso i miei negozi, i miei prodotti, i miei professionisti”. E la soluzione suggerita è un “mercato del lavoro di secondo ordine, il cosiddetto ‘lavoretto’ che non fornisce gli strumenti adatti per l’emancipazione sociale. Un incrocio fra il sussidio di disoccupazione e un reddito vincolato”. Quello che invece veniva auspicato era “l’introduzione di un salario minimo orario” perché, “come dicono anche gli economisti liberisti, oggi il lavoro non basta più”. Una proposta sottoscritta in tempi non sospetti “anche da attuali senatori M5S”.

Nella sede della Fnsi, non poteva non esserci anche l’accento sulla difesa dell’informazione e la graduale eliminazione dei contributi pubblici all’editoria. “Da tempo i cosiddetti giornaloni non prendono più un euro – ha ricordato Beppe Giulietti, di Articolo 21 – fra le testate importanti erano rimaste solo Avvenire e Manifesto. Con questa norma, invece, si toglie sostegno a tante testate di territorio o legate a piccole realtà associative che difendevano quel diritto al pluralismo che viene tanto sbandierato”. Difesa dell’informazione che, secondo Giulietti, non può non passare dalla lotta al precariato nel giornalismo: “L’abrogazione dei co.co.co. e dei contratti iniqui e mal pagati, la lotta alle querele bavaglio, l’introduzione di assicurazioni ad hoc per i giornalisti d’inchiesta, tutte misure mai prese in considerazione”.

La Rete dei Numeri Pari, a latere dell’aspetto critico, ha anche presentato una proposta in 10 punti di possibile “reddito di dignità”, che persegue l’introduzione di un “reddito individuale” tarato sul 60% del reddito mediano dello Stato, quindi “forme di promozione dell’occupazione”, l’allargamento ai “residenti” (comprendendo anche i non cittadini, come avviene per le case popolari), la “replicabilità temporale”, la “integrazione lavorativa” e l’erogazione di “altre misure di welfare sociale e servizi di qualità”. Sul tema della “residenzialità”, da registrare la proposta di Giulietti di chiedere al Capo dello Stato la cittadinanza ad honorem per Marian e Roxana Roman, i due baristi romeni che hanno avuto il coraggio di denunciare le minacce e le violenze dei Casamonica alla Romanina.

La proposta di “Def alternativo”, quindi, si completa con il perseguimento di battaglie storiche come “sfratti zero”, “adeguamento del Fondo Nazionale Sociale”, gli “investimenti sull’infanzia” e, soprattutto, la “spesa sociale fuori dal patto di stabilità” come – anche qui – inizialmente sottoscritto da diversi esponenti del M5S.

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