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Giorgetti evoca la chiusura della ditta? Appare una mossa di ingegneria finanziaria

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Con le parole si può costruire un mondo nuovo, dire di sofferenze e gioie, spiegare, o anche tacere, e persino confondere, simulare. Ieri Giancarlo Giorgetti l’uomo che cuce le relazioni di potere leghiste e le tiene coperte, ha rivelato nella bella Confessione a Peter Gomez, durante la Festa del Fatto Quotidiano, che se i giudici decideranno di confermare il sequestro dei soldi che il movimento ha abusivamente detenuto, i milioni di euro (molti dei quali spesi, sic!) utilizzati al di fuori delle regole e della legge, il Carroccio sarà costretto a chiudere bottega.

Quel che Giorgetti ha taciuto, e che noi seguendo il suggerimento di Giulio Andreotti (“a pensar male si fa peccato ma ci si azzecca”) immaginiamo invece, è che la chiusura della ditta risponda a una triste e conosciuta strategia di ingegneria finanziaria.

La Lega ha le casse sfondate, quindi inservibile. Metterla in liquidazione, magari dando la colpa ai giudici, è il miglior modo per sottrarsi alle responsabilità di aver partecipato in qualche modo all’utilizzo illegale dei fondi. Farla divenire una bad company e trarre da questa operazione, che in Italia ha antichi maestri, il profitto politico necessario. Presentare alle prossime europee un simbolo nuovo di zecca, senza debiti e soprattutto senza memoria. Un partito nuovo, per un centrodestra nuovo, con un leader nuovo di zecca: Matteo Salvini.

E chi si è visto, si è visto.

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