Il Parlamento europeo – 278 favorevoli, 318 contrari e 31 astenuti – ha detto no all’approvazione della proposta di direttiva sul copyright, rinviando il testo alla discussione in aula a settembre. La foto del tabellone del voto elettronico postata via Twitter da Julia Reda – l’eurodeputato del Partito Pirata tedesco, animatrice della protesta contro la proposta di direttiva europea sul diritto d’autore nel mercato unico digitale – ha fatto il giro di mezza Europa nello spazio di una manciata di minuti.


È l’immagine più plastica della vittoria di chi, specie nelle ultime settimane, ha fatto il possibile per far cambiare idea agli europarlamentari che nella Commissione giuridica avevano dato il via libera alla proposta e della sconfitta dell’industria dei contenuti che avrebbe voluto, a ogni costo, che oggi il Parlamento europeo votasse sì, chiudendo, di fatto – anche se non nelle liturgie di Bruxelles – la partita. Ma si sbaglierebbe ad archiviare semplicisticamente il voto di oggi come la vittoria di alcuni e la sconfitta di altri, come il giorno della verità – come, pure, qualcuno inevitabilmente, titolarità nelle prossime ore e ad abbandonarsi a rumorosi festeggiamenti.

Oggi dovrebbe, in realtà, essere il giorno della serietà. La partita non è finita ma, al contrario, appena iniziata. Demolire, come è noto, è più facile di costruire. L’Europa delle libertà e dei diritti fondamentali e quella – perché va detto senza abbandonarsi a utopici eccessi di romanticismo – quella dei gestori delle grandi piattaforme di aggregazione di contenuti editoriali e pubblicati dagli utenti ha dato una straordinaria prova di forza ma la parte più difficile inizia adesso. È ora che, accantonati gli spot, le campagne favorevoli e contrarie e i manifesti, ci si metta tutti insieme a lavorare a una modifica della proposta di direttiva che sia più equilibrata, moderna, attuabile e rispettosa dei diritti di tutti rispetto a quella alla quale gli europarlamentari hanno appena detto di no.

Fallire oggi in questo intento, andare al muro contro muro, limitarsi a fare melina – va detto con eguale determinazione a entrambe le parti ma, forse, in questo caso, specie ai protagonisti del fronte del no – offenderebbe il lavoro, l’intelligenza, la straordinaria passione civile di quanti, nelle ultime settimane, sono riusciti a trasformare un sì che appariva quasi scontato in un no e, soprattutto, consegnerebbe alla storia l’immagine di una società civile digitale capace di distruggere ma incapace di contribuire alla costruzione di un’infrastruttura normativa della quale è innegabile l’ecosistema digitale ha bisogno perché il mercato e la tecnologia, da soli, non bastano a governare fenomeni complessi dai quali dipendono diritti e interessi straordinariamente rilevanti.

Le regole servono, sono indispensabili, necessarie e preziose ma devono essere giuste, eque e accessibili, includere i diritti e gli interessi di tutti nella società online e non escludere quelli di nessuno. Non è vero che la libertà online può – o addirittura deve – fare a meno delle regole. Le regole – se sono quelle giuste – sono garanzia di libertà. Ed è per questo che ora si tratta di cominciare a lavorare tutti assieme a una proposta di direttiva che riconosca ai titolari dei diritti un’adeguata tutela senza, tuttavia, comprimere al di là della soglia del democraticamente sostenibile gli altri diritti e interessi.

Bisognerebbe mettere sul tavolo un elenco di elementi irrinunciabili per ciascuno dei portatori dei diversi interessi e, poi, provare a assemblare un testo che soddisfi i più senza sacrificare troppo i diritti dei meno. Mettere d’accordo tutti, conciliare le posizioni più estreme – da una parte e dall’altra – non sarà possibile ma far meglio di quanto si era fatto sin qui, sembra, al contrario, un risultato accessibile.

Ecco i miei primi paletti, non sono tutti, ma sono quelli irrinunciabili.

1. Nessuna deroga in fatto di giurisdizione: quando la pubblicazione di un contenuto è lecita e quando viola i diritti di qualcuno lo decide solo e sempre un giudice e un’autorità anche nell’ambito di procedimenti sommari, cautelari, urgenti, veloci e, eventualmente, persino basati sull’utilizzo di tecnologie di intelligenza artificiale moderne, terze e imparziali.

2. Chiunque pubblica un contenuto online, se lo vede rimuovere, deve poter contestare la decisione e ottenere giustizia in un tempo non superiore rispetto a quello che occorrerà garantire a chi ritiene che quel contenuto sia stato pubblicato in violazione dei propri diritti.

3. Nessuna concessione a filtri o sistemi automatici gestiti da soggetti privati.

4. Nessuna concessione all’idea secondo la quale decidere se esiste o non esiste una violazione dei diritti d’autore è questione binaria o algoritmica che possa essere risolta nella verifica della circostanza che un pezzo dell’opera di tizio sia stata usato senza il suo consenso. Le libere utilizzazioni sono un pezzo essenziale della disciplina autorale, ne rappresentano una gamba e non un orpello, un optional o un accessorio. Si chiameranno anche eccezioni ai diritti d’autore ma sono eccezioni necessarie perché il diritto d’autore resti un ecosistema giusto, equo, rispettoso dei diritti di tutti e, soprattutto, il cui fine ultimo sia massimizzare la produzione e circolazione dei contenuti creativi, culturali e informativi e non semplicemente le rendite di posizione di pochi.

Per i tanti altri vincoli – da una parte e dall’altra – c’è ora un’intera estate che, speriamo, sia di riflessione, dialogo e confronto ma non di scontro, non più.

È il momento della prova di serietà, quello nel quale è fondamentale fare appello alle nostre coscienze perché restino al loro posto, vigili e attente ma capaci di suggerirci di rinunciare, in parte, a qualcuna a cui pure teniamo, nell’interesse degli altri membri della comunità unica digitale che è  il vero irrinunciabile e unico presupposto del mercato unico digitale.

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