Il divieto di spot sul gioco d’azzardo contenuto nel Dl Dignità approvato dal Consiglio dei ministri diventa terreno di scontro. Gli operatori e gli editori, che perderanno introiti pubblicitari (specie sulle scommesse legate al calcio mondo del calcio) manifestano perplessità. Niklas Lindahl, direttore per l’Italia della società svedese dei casinò online Leogaming, in una lettera a Luigi Di Maio ha sostenuto che “il proibizionismo favorisce realtà illecite“. I movimenti anti-ludopatia, consumatori, genitori, che non hanno interessi economici in ballo, invece, non hanno dubbi sul fatto che lo stop agli spot sia la strada giusta da intraprendere. Intanto il Movimento No Slot e il Codacons, che ha già annunciato il suo sostegno in ogni sede “a qualsiasi misura che introduca una stretta alla pubblicità dei giochi”. Di Maio ha detto che dal 2019 il divieto scatterà anche per le sponsorizzazioni e “tutte le forme di comunicazione” comprese “citazioni visive ed acustiche e la sovraimpressione del nome, marchio, simboli”. L’unica perplessità dell’associazione riguarda quella parte del decreto legge che prevede, infatti, l’annunciata stretta sulla pubblicità e scommesse, fatti salvi però i contratti in essere e le lotterie a estrazione in differita, come la Lotteria Italia. Il divieto non vale anche per “i loghi sul gioco sicuro e responsabile dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli”. Confermate le sanzioni, che si applicheranno “de futuro”, al 5% del valore, ma con un minimo di 50mila euro.

COME TROVARE LE COPERTURE – Poi c’è anche il conto che il decreto presenta per le casse dello Stato: la stretta sulle pubblicità costerà circa 200 milioni di euro nel 2019 che dovrebbero diventare in totale 700 milioni in tre anni. Le coperture arriveranno da maggiori controlli e da un ritocco al rialzo del Prelievo erariale unico, il cosiddetto “Preu”, ovvero la tassazione sui concessionari.

IL CODACONS: “IL DIVIETO VALGA PER TUTTE LE PUBBLICITÀ” – “Da anni la nostra associazione – spiega a ilfattoquotidiano.it il presidente del Codacons Carlo Rienzi – denuncia il dilagare di spot su giochi, sale slot e scommesse, che imperano ovunque, in tv come nelle strade, colpendo sopratutto i soggetti più sensibili, ossia i giovani, tentando di farli avvicinare all’azzardo attraverso testimonial come calciatori o donne in abiti succinti”. Secondo il Codacons è “una vergogna nazionale che danneggia la collettività, perché l’invasione delle pubblicità determina un aumento dei giocatori e delle dipendenze, con costi sociali e sanitari a carico di tutti i cittadini”.

Secondo i dati dei Monopoli di Stato rielaborati dall’Associazione per lo studio del gioco d’azzardo, nel 2017 gli italiani hanno speso complessivamente, tra slot machine, gratta e vinci e gaming online, oltre 100 miliardi di euro. Favorevole allo stop, l’associazione però fa una precisazione: “Il divieto deve valere per tutte le pubblicità, senza distinzioni, perché tutti gli spot sono in grado di avvicinare i cittadini al gioco, indipendentemente se abbiano o meno il logo dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli. Altrimenti si rischia di vanificare tutto”.

LO PSICOLOGO: “GLI SPOT DANNEGGIANO ANCHE LE FAMIGLIE” – Simone Feder, leader del Movimento No Slot e psicologo, lavora da anni nelle strutture della comunità Casa del Giovane di Pavia, dove coordina l’Area Giovani e dipendenze. Sulla sua pagina Facebook, commentando il decreto ha scritto: “Vietare la pubblicità all’azzardo, prodotto altamente “tossico”, è un primo ma fondamentale passo per l’avvio di serie politiche di contrasto ad un fenomeno che genera effetti sociali drammatici, ma che ancora in troppi fingono di non vedere”. A ilfattoquotidiano.it racconta cosa rappresentano quegli spot non solo per chi soffre di ludopatia, ma anche per le persone a loro più vicine. “Nel giro di quattro anni ho seguito circa 320 persone con il gruppo – spiega – attorno ad ogni giocatore ce ne sono altre sette che rischiano di ammalarsi, di soffrire per esempio di attacchi di panico. Spesso i figli si allontanano dagli studi”. Una fotografia è stata scattata con il rapporto ‘Selfie – Istantanee dalla generazione 2.0’ elaborato dal gruppo di lavoro promosso dal Centro Semi di Melo, formato dalla Fondazione Exodus e dalla Casa del Giovane di Pavia e l’Università Bicocca di Milano e che ha coinvolto oltre 35mila studenti di centinaia di scuole medie inferiori e superiori delle province di Varese, Milano, Bergamo, Pavia, Mantova, Cremona, Cosenza e Potenza. “Circa l’11 per cento dei ragazzi intervistati – spiega Feder – ha dichiarato di avere in famiglia qualcuno che gioca ed è molto comune, secondo la mia esperienza, che questi giovanissimi siano esasperati nel guardare gli spot in tv, dovendo vivere in casa situazioni drammatiche. Questo è un aspetto, legato alla rabbia e alla frustrazione, che non si può sottovalutare”.

GLI EFFETTI DEGLI SPOT – A cui si aggiunge quello degli effetti che gli spot hanno sulla popolazione. Sul punto si è più volte espressa Roberta Pacifici, dirigente di ricerca dell’Istituto Superiore di Sanità. “Gli studi che abbiamo – ha dichiarato – vengono dal mondo anglosassone ed emerge che il messaggio pubblicitario è inarrestabile e sulla popolazione giovanile arriva attraverso popup. C’è la promessa di vincite e arricchimento facili, con un messaggio che lega sempre più il giocatore al gioco”. Sull’argomento ci sono opinioni contrastanti, ma in altri Paesi sono stati effettuati studi specifici in alcune popolazioni di piccole dimensioni che dimostrano come la pubblicità peggiori la condizione di addiction o porti a recidive. Proprio in uno studio dell’Istituto Superiore di Sanità sulle opinioni degli italiani (3mila quelli intervistati) in merito alle dipendenze, alla domanda sui provvedimenti ritenuti più adeguati per limitare i problemi legati al gioco d’azzardo, una delle risposte più frequenti è stata proprio quella di vietarne la pubblicità.

GLI OPERATORI ATTACCANO: “COSI’ SPINGIAMO TUTTO VERSO IL SOMMERSO” – “Il vero nemico è tutto ciò che avviene nell’illegalità“, sostiene l’avvocato Stefano Sbordoni, esperto in diritto del gioco pubblico e delle scommesse sulla Gazzetta dello Sport, che fino all’anno scorso aveva una propria agenzia di scommesse, GazzaBet (mentre tuttora ospita pubblicità sulle scommesse legate al calcio, mentre Rcs ha una quota in un’agenzia di bet). “Questo decreto mi preoccupa – dice – le nostre disposizioni in tema di gioco sono prese ad esempio da Paesi esteri”. “E allora perché da noi sembra tutto sbagliato?“, si chiede Sbordoni. L’esperto spiega quello che secondo lui non va nel decreto: “Il gioco è sempre esistito – afferma – dobbiamo gestirlo. Il problema della ludopatia è emerso perché è emerso il gioco illegale“. “Non tiriamo fuori le persone dal problema se le etichettiamo come protagoniste di un atto di infamia, anzi spingiamo il tutto solo verso il sommerso”, conclude Sbordoni. Dello stesso parere è anche Urbano Cairo che, sul Sole 24 ore, sottolinea come secondo lui “tutti questi giochi online sono in realtà molto regolati, al contrario invece della parte offline. È lì che occorrerebbe intervenire con attenzione per combattere comportamenti compulsivi e ludopatie”. Da editore e da presidente del Torino calcio, Cairo rappresenta il mondo più colpito dalla stretta sulle pubblicità. Ma “l’impatto non è significativo – sostiene lui – uno sponsor può essere agevolmente sostituito con un altro”. I broadcaster perdono però una buona parte delle loro entrate – secondo gli analisti di Fidentiis, Mediaset gestisce il 50% del budget annuale del gioco d’azzardo sui media tradizionali – ma a dover correre ai ripari sono anche 11 su 20 squadre di Serie A. Una partita da 120 milioni all’anno che vengono utilizzati per fare pubblicità attraverso lo sport.

La posizione degli operatori è riassunta nelle parole di Stefano Zapponini, presidente di Sistema Gioco Italia, la filiera dell’industria del gioco e dell’intrattenimento: “Il nostro sistema non ha bisogno di divieti ma di riforme. È illusorio poter risolvere il problema delle patologie in questo modo. Quello che auspichiamo – ha spiegato – è l’apertura di un tavolo di confronto su un argomento che non può essere affrontato, come è stato fatto, con un decreto d’urgenza“. Per Zapponini l’unica strada percorribile è quella del dialogo che porti a una riforma del sistema: “Abbiamo già ridotto del 35% le slot sul territorio nazionale e del 50% i punti vendita. E lo abbiamo fatto perché il nostro interesse non è la quantità ma la qualità – ha sottolineato – Il rischio è che non si riesca più a distinguere il gioco legale da quello illegale. Basti osservare cosa sia accaduto nei territori nei quali sono entrate in vigore le leggi regionali: l’illegale è andato a rioccupare lo spazio legale – ha detto – Il decreto non genererà l’effetto auspicato: non colpirà solo il settore del gioco ma anche quello del lavoro, con la crisi che inevitabilmente colpirà anche le aziende di marketing e comunicazione che sulla pubblicità vivono. Ecco perché stiamo attivando un tavolo di crisi sperando di trovare da parte del ministero la stessa sensibilità che si è avuta, con tutto il rispetto, per un migliaio di rider“.

L’ASSOCIAZIONE DEI GENITORI E IL MOIGE: “LO STOP AGLI SPOT NON BASTA” – La ludopatia colpisce sempre più giovanissimi, come raccontato da FQ Millennium, il mensile diretto da Peter Gomez, attualmente in edicola con un numero dedicato alla droga e alle dipendenze, attraverso le storie di ragazzini finiti in terapia per uscire dall’ossessione dei giochi online. Secondo Rosaria D’Anna che, come presidente dell’Associazione Italiana Genitori, è anche componente dell’Osservatorio per il contrasto della diffusione del gioco d’azzardo presso il ministero della Salute “il divieto della pubblicità rischia di essere un palliativo in assenza di altri interventi, così come è accaduto per le frasi e le foto fatte stampare sui pacchetti di sigarette, che non mi sembra abbiano impedito che si arrivasse a un alto tasso di tabagismo tra i minori, che iniziano a fumare anche tra i 12 e i 13 anni”. Allora vietare gli spot è inutile? “Credo che questo tipo di comunicazione vada regolamentata – aggiunge – con un occhio particolare alle scommesse calcistiche e all’eccessivo lancio di spot che a volte sembrano quasi ricordare ai telespettatori che è il momento di giocare. Il lavoro importante, però, va fatto sul fronte dell’educazione, con il coinvolgimento di scuole e famiglie”.

Riguardo al divieto di pubblicità anche il Moige ha una posizione molto chiara. “Il divieto agli spot può contribuire a ridurre la dinamica della pressione sui consumatori giovanissimi, già abbastanza alta” spiega a ilfattoquotidiano.it il direttore generale Antonio Affinita, che fa riferimento a “quei messaggi poco corretti con cui si presentano le proprie piattaforme regalando bonus di centinaia di euro e che sicuramente facilitano l’introduzione al gioco”. Da qui la constatazione del Movimento italiano genitori: “Se le cose restano così, allora gli spot vanno effettivamente vietati. L’alternativa è porre delle regole ed essere rigorosi nel farle rispettare, mettendo al bando quegli spot discutibili che presentano il gioco in termini di convenienza e permettendo una comunicazione diversa, affiancata da un’azione di responsabilità”. Detto ciò, anche per il Moige un divieto totale degli spot non basta a risolvere il problema, così come non basta porre una distanza tra le slot e la scuola. “La questione va affrontata facendo controlli continui, costanti e rigorosi sulla rete che offre questi giochi” aggiunge Affinita. La principale preoccupazione, dunque, “è la permeabilità della rete distributiva del gioco d’azzardo ai minori perché ad oggi i giochi sono di facile accesso anche per i nostri figli, mentre la rete distributiva dovrebbe rappresentare un baluardo”. Serve, dunque, rigore nell’impedire l’accesso ai minori da parte di tutti quelli che per conto dello Stato erogano il gioco, dai Gratta e Vinci alle scommesse. “Queste ultime – anticipa il Moige – da quanto sta emergendo in un’indagine a cui stiamo lavorando, rappresentano uno dei settori più pericolosi per i giovanissimi, che ne sono evidentemente attratti”.

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