Ha fatto notizia in questi giorni un’intervista di Diego Bianchi, durante il programma di La7 Propaganda Live, a Aboubakar Soumahoro, sindacalista dirigente Usb.

Nell’intervista colpiscono le parole lucide del ragazzo riguardo le rivendicazioni sindacali di semplice dignità umana, a pochi giorni dal brutale assassinio a fucilate di Soumaila Sacko. Sono parole che fanno pensare come in effetti oramai in Italia certe esigenze chiare possano venire solo da chi vive realmente situazioni ai limiti del disumano o, come si usa dire spesso, “dal basso”. Sono d’altronde quelle stesse situazioni e quello stesso “basso” che oramai la sinistra, e in particolare il Partito democratico, non sembra proprio più in grado di intercettare e rappresentare.

Queste realtà però non solo esistono, ma hanno anche una potenza incontrollabile perché capaci di atti rivendicativi ben più efficaci di quelle del classico padre di famiglia italiano, che non arriva a fine mese ma al contempo spera nella raccomandazione del politico, quindi sta buono in attesa del suo turno e – nel frattempo – il cui atto più rivoluzionario è votare Lega o sfogarsi su Facebook.

Lega”: questa parola (per beffardo paradosso) fa un po’ da trait d’union del mio scritto. L’arte ha sempre esaltato le realtà come quelle dei campi di Gioia Tauro: sono i reietti di Pasolini o gli ultimi di De André; e sono anche i protagonisti di molte canzoni di Alessio Lega. Il terzo nome è quello meno conosciuto fra i tre. Lega, leccese trasferitosi a Milano poco più che adolescente, è un cantautore per cui l’aderenza tra il sociale e l’estetico non ha soluzione di continuità. Su queste pagine ho scritto molto sulla sciagura dell’ideologia che permea la canzone d’autore, facendola diventare canzone pop a tutti gli effetti quando sfrutta l’icona riconoscibile dello slogan o del pensiero facile, comune, inneggiante. Questo non succede con Alessio Lega, che è autore necessariamente politico, ma per il quale l’ispirazione sgorga sempre e precisamente dal movimento rivoluzionario di ogni ribellione a un sopruso, mai dal facile acquietamento cerebrale dello slogan.

Come capita con Soumahoro, sono sempre le persone a fare la differenza. C’è un bel disco di Alessio Lega che esaltano i nomi e le singole persone che si ribellano a uno stato di cose. Il disco è Mala Testa, del 2013. In Frizullo, Spartaco, Matteotti, La piazza, la loggia, la gru e un po’ in tutte le tracce, Alessio canta la storia di persone singole che si sono ribellate al moto apparentemente inesorabile di eventi ingiusti; di ultimi, spesso, che, proprio perché non avevano niente da perdere, comprendevano il bene assoluto da difendere, resistendo e salvando la dignità dell’uomo. Soprattutto, quel disco esaltava l’importanza dei nomi che perpetuano un significato di lotta (Matteotti) e del sacrificio di persone che si fanno lotta attuale (La piazza, la loggia, la gru).

Proprio La piazza, la loggia, la gru costruisce un ponte tra la vicenda di Soumahoro e la forza sopita dei diritti dei lavoratori italiani. La canzone parla della strage neofascista di Piazza della Loggia a Brescia del 1974, e canta i nomi – citati uno per uno – degli immigrati che trentasei anni dopo manifestarono per i propri diritti violati, sempre lì, in Piazza della Loggia, a Brescia.

Le persone fanno la differenza, le loro gesta, la loro storia. I nomi degli insegnanti morti in Piazza della Loggia nel 1974 si affiancano idealmente nel brano ai nomi degli immigrati che sembrano essere i soli, oggi, in Italia, che abbiano il coraggio di ribellarsi. Così, la forza delle canzoni di Lega torna a ogni sopruso che ha la voce dell’umanità, anche se sans-papiers.

Lega recupera con la forza estetica delle sue canzoni una memoria d’essere umano persino più importante della storia, cioè del susseguirsi dei fatti: Alessio la recupera, nonostante giorno per giorno l’agio dei nostri privilegi ci procuri piccoli soprusi quotidiani. La canzone – espressione artistica piccolissima e altrettanto potente – questo può farlo. Io stesso a volte dimentico le canzoni di Alessio. Forse per il male lancinante e curativo – che sento necessario – a cui mi fanno ripiombare a ogni riascolto.

Noi siamo il mare nero che di giorno sta calmo, 
si muove lentamente, si cela nel profondo.
In un fruscio leggero intona il proprio salmo,
un canto che gli giunge dal termine del mondo.
E porta di lontano profumo di speranza,
invade la tua stanza, ti fa sentire strano:
ti fa apparire estraneo al gregge dei montoni
condotti nel macello al suono dei milioni.

Alessio Lega, Mare nero, 2017

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