Ogni anno 8 milioni di tonnellate di rifiuti plastici vengono riversati negli oceani. Il nemico numero sono i prodotti monouso. Basti pensare che in tutto il mondo ogni minuto vengono acquistate un milione di bottiglie, mentre l’Ocse denuncia che nel pianeta si ricicla solo il 15% di plastica. Quest’anno la Giornata mondiale dell’Ambiente 2018 è dedicata proprio al tema Beat Plastic Pollution, tag con cui il programma dell’Onu per l’Ambiente (Unep) ha lanciato una mobilitazione. Ricordando che “le microplastiche nei mari già superano le stelle nella nostra galassia” il segretario generale dell’Onu António Guterres ha chiesto a tutti i governi del mondo di bandire i prodotti monouso in plastica, che sono responsabili dell’inquinamento degli oceani. Tutto questo mentre la Commissione europea ha presentato, il 28 maggio scorso, la proposta di direttiva contro l’inquinamento da plastica. Proposta che ora dovrà essere approvata da Europarlamento e Consiglio europeo anche apportando modifiche e integrazioni. Poi spetterà agli Stati recepire le norme e farle applicare. Gli ambientalisti lodano il provvedimento, ma lo ritengono solo un primo passo.

La plastica sulle spiagge italiane – Si tratta di un problema che riguarda anche l’Italia. Nei giorni scorsi sono stati diffusi i risultati dell’indagine Beach Litter 2018 condotta da Legambiente: su 78 spiagge monitorate, per un totale di oltre 400mila metri quadri (pari a quasi 60 campi di calcio) sono stati trovati una media di 620 rifiuti ogni 100 metri lineari di spiaggia. Quattro rifiuti per ogni passo. Di ogni tipo, colore, forma, dimensione. La plastica è al primo posto tra i materiali più trovati, con un percentuale dell’80%.

La mobilitazione internazionale – In occasione della Giornata mondiale dell’ambiente anche il movimento Break Free From Plastic (che rappresenta più di 1.200 gruppi in tutto il mondo, tra cui Greenpeace) chiede ai Paesi del G7 che si incontreranno nei prossimi giorni in Canada di approvare obiettivi di riduzione e divieti per la plastica monouso, investire in nuovi modelli di consegna dei prodotti basati sul riutilizzo e creare un sistema di tracciabilità della merce che renda le aziende responsabili della plastica che producono. “Negli ultimi mesi – ricorda Greenpeace – McDonald’s, Starbucks, Procter & Gamble, Nestlé, Coca-Cola, Pepsi e Unilever hanno pubblicato piani volontari relativi all’inquinamento da plastica, ma nessuna delle aziende ha adottato interventi drastici per ridurre la produzione di imballaggi monouso”. Proprio a questo mira invece la petizione online di Greenpeace con la quale si chiede alle grandi aziende di eliminare imballaggi e contenitori in plastica usa-e-getta.

Quando i cittadini fanno pressione – Mentre le aziende sono ancora riluttanti ad assumersi le proprie responsabilità, in tutto il mondo sono diverse le iniziative per promuovere cambiamenti. Un gruppo di cittadini di Veracruz, in Messico, ha ottenuto il bando dei sacchetti di plastica e delle cannucce nel loro Stato. Ullapool, un villaggio scozzese, è diventato il primo comune plastic-free a seguito dell’attività di sensibilizzazione e pressione di alcuni bambini della scuola locale. Quasi cento bar in Grecia hanno accettato di concedere sconti a tutti i clienti che impiegano le loro tazze riutilizzabili.

In Italia, invece, a seguito dei risultati delle indagini di Greenpeace e del Cnr in cui erano stati riscontrati elevati livelli di microplastica nelle acque delle Isole Tremiti, il sindaco Antonio Fentini ha vietato la vendita di alcuni prodotti in plastica monouso. Con questo spirito Greenpeace ha lanciato l’iniziativa Plastic Radar. “Invitiamo i cittadini a segnalare la presenza di rifiuti di plastica in mare via Whatsapp al numero +39 342 3711267” dichiara Giuseppe Ungherese, responsabile Campagna Inquinamento di Greenpeace Italia.

La proposta della Commissione – Cosa potrebbe cambiare in Europa? Il provvedimento più importante della proposta della Commissione europea è il bando a piatti e stoviglie di plastica, cannucce, agitatori per bevande, cotton fioc e bastoncini per palloncini in plastica. Entro il 2025 gli Stati membri dovranno raccogliere il 90% delle bottiglie di plastica monouso per bevande, per esempio con sistemi di cauzione-deposito. I contenitori per bevande saranno ammessi solo se i tappi e i coperchi restano attaccati. Gli Stati membri dovranno anche fissare obiettivi nazionali di riduzione per i contenitori per alimenti e tazze per bevande in plastica. I produttori saranno chiamati a coprire i costi di gestione dei rifiuti per mozziconi di sigaretta, palloncini e attrezzi da pesca, si dovrà evitare che i materiali in plastica siano distribuiti gratuitamente, mentre assorbenti igienici e salviette umidificate dovranno indicare nell’etichetta il loro impatto negativo sull’ambiente.

Le reazioni tra ambientalisti e produttori – Le ong ambientaliste giudicano positivamente il provvedimento, anche se molto c’è da fare. In Europa sono fra 150mila e 500mila le tonnellate di plastica che ogni anno finiscono in mare. Secondo Legambiente “è un primo e fondamentale passo per contrastare una delle due più gravi emergenze ambientali globali insieme ai cambiamenti climatici” anche se “non tutte le misure previste affrontano alla radice i problemi veri”. Secondo Stefano Ciafani, presidente di Legambiente “mancano norme sui bicchieri di plastica usa e getta e sull’eliminazione di sostanze tossiche”, mentre rischia di essere controproducente “l’assenza di obiettivi specifici di riduzione per gli Stati membri”. Anche per il Wwf “gli obiettivi ambiziosi di riduzione devono essere adottati a livello nazionale per quegli elementi che non sono stati esplicitamente vietati e accompagnati da un’azione più forte a livello internazionale”. Per Greenpeace “è fondamentale eliminare al più presto tutti quegli oggetti per i quali sono già disponibili alternative sostenibili”.

I produttori di plastica – Qualche limite della proposta viene evidenziato anche da PlasticsEurope, l’associazione europea dei produttori di plastica. Pur condividendo l’obiettivo generale della direttiva, gli industriali ritengono che i prodotti messi al bando avrebbero “un minor impatto ambientale rispetto a quelli in altri materiali”. Per l’associazione questo divieto “è una scorciatoia che non avrà effetti decisivi”, mentre la soluzione è “evitare che qualsiasi rifiuto finisca in mare”. Il programma Voluntary Commitment, Plastics 2030 ha proprio l’obiettivo del completo recupero dei rifiuti in plastica entro il 2030. Secondo l’associazione “il consumatore deve agire con responsabilità nei confronti dei rifiuti in plastica”, mentre le istituzioni europee e nazionali e l’industria “devono sostenere questo cambiamento con opportuni programmi di educazione dei cittadini”. Occorrono pieno coinvolgimento, consapevolezza degli obiettivi dell’economia circolare, ma anche “infrastrutture adeguate per la gestione dei rifiuti”.

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