“Quando il silenzio per rispetto si è trasformato in ipocrisia e indifferenza, quando ho sentito le prime giustificazioni, i primi ‘eh ma…’, ho detto ‘basta’. Io sto con Alba, perché lei non ha potuto decidere”. A distanza di un giorno, Gian Luca Frizzi spiega le ragioni delle sue dimissioni da sindaco di Tenno, paese del Trentino in cui lo scorso 31 luglio Alba Chiara Baroni, 22 anni, è stata uccisa a colpi di pistola dal fidanzato 24enne Mattia Stanga, che poi si è suicidato. Il primo cittadino voleva dare seguito alla richiesta della famiglia della ragazza: una stele in ricordo della figlia con la scritta “Vittima di femminicidio”. Ma ha capito che la maggioranza non era con lui, che la risposta della comunità non era univoca. Ha scelto di mettere la sua firma, la prima, sul documento che autorizza la lapide e poi, la sera del 23 maggio, ha lasciato la sua carica. “La domanda è decidere se dimenticare o ricordare: io ho scelto di ricordare”, spiega ora a ilfattoquotidiano.it.

“Il mio obiettivo era muovere qualcosa, anche se mi dispiace per la famiglia della vittima che di tutta questa vicenda ne ha già abbastanza”, racconta Frizzi. Una vicenda che ha traumatizzato tutta Tenno, paese di 2mila abitanti poco sopra la punta più a nord del Lago di Garda. I due ragazzi erano fidanzati da sei anni e si conoscevano fin da piccoli. Li conoscevano tutti, come le famiglie che hanno condiviso il lutto. E poi la comunità, da una parte sconvolta per l’omicidio, dall’altra triste anche per chi ha ucciso, ma a sua volta è morto. “Siamo stati tutti investiti da un’emotività forte – ricorda l’ex sindaco – e in queste casi nelle piccole comunità di montagna è più facile dimenticare”. “Ma a me questo non andava bene – aggiunge – lui ha deciso di mettere fine alla sua vita, ma ha anche ucciso un’altra persona. E l’altra persona non è una proprietà, che sia femmina o maschio”, afferma.

I primi mesi sono stati quelli del rispetto. “Ho anche negato parecchie manifestazioni alla famiglia della vittima, perché le ritenevo inopportune nel momento in cui la comunità era ancora fragile, come neve al sole”, spiega Frizzi. Poi è arrivata la domanda di una stele: un ricordo ma anche un simbolo contro il femminicidio. Ma c’è stata anche la richiesta della famiglia di Mattia Stanga: aspettare e approfondire. “Entrambe hanno le loro ragioni – commenta l’ex sindaco – e io non sto né da una parte, né dall’altra. Io sto con Alba, che fino a prova contraria è la vittima: lei non ha deciso, si è ritrovata quattro colpi di pistola”.

Di fronte alla decisione da prendere, alla risposta da dare a entrambe le famiglie, è emersa la spaccatura. Prima durante un consiglio informale, quando l’allora sindaco ha capito di essere in minoranza. Poi alla Serata del dolore, organizzata dal Comune, in cui per ricordare la vittima si sono presentati appena quattro su dieci consiglieri di maggioranza. “Lì ho preso atto della situazione e ho redatto il documento che poi ho firmato con il mio parere favorevole sulle stele”, spiega Frizzi.

“L’amministrazione poteva anche lavarsene le mani e fermarsi alle condoglianze – aggiunge –  ma un sindaco non deve guardare alle amicizie e agli assessori in giunta, deve stare con chi è vittima di un atto inqualificabile”. Un assessore di Tenno è infatti lo zio del ragazzo autore dell’omicidio suicidio e al momento delle dimissioni del sindaco non era in aula. “Per alcuni ho sbagliato, per altri ho fatto bene, ma io non ho avuto dubbi: ad Alba sono stati tolti il tempo e la vita, il bene più prezioso. È la prima scritta che ci sarebbe sulla stele”, afferma Frizzi.

Quella lapide, nella volontà della famiglia, dovrebbe essere un simbolo e un monito contro il femminicidio, con una foto della figlia, una poesia e una rosa spezzata. La sua sorte verrà ora decisa dai consiglieri che dovranno scegliere se firmare “sì”, “no” o astenersi, messi di fronte alle loro responsabilità dal documento lasciato in eredità dall’ormai ex sindaco. “Io ho cercato di dare una rotta per cominciare almeno a confrontarci e riflettere – spiega Frizzi – Se non si trova la quadra neanche su questi argomenti, se non si capisce che questa è la strada, vuol dire che ne abbiamo da fare ancora tanta: allora continuiamo a vivere di stereotipi”. “Dopodiché, ciao e grazie a tutti. Ora torno a fare il cameriere e lavapiatti nel ristorante dei miei genitori e a coltivare gli ulivi”, conclude.

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