“La prima emergenza da affrontare sarebbe dotare il Paese di una legge elettorale che consenta di avere un vincitore dopo il voto, e allo scopo è più indicato un giurista, io sono un economista“. In ogni caso, lo scenario auspicabile è “un governo politico che duri. Non mi entusiasmano i governi tecnici”. Parola di Carlo Cottarelli, ex commissario alla spending review del governo Renzi, oggi direttore dell’Osservatorio sui conti pubblici dell’università Cattolica, che in un’intervista a Libero garantisce di non essere “uno che si tira indietro” ma di fatto allontana da sé l’amaro calice – potenziale – della presidenza del Consiglio di un esecutivo “del presidente”. Perché “dal punto di vista dei mercati potremmo tranquillamente permetterci di cambiare la legge elettorale e tornare alle urne a ottobre“: nel breve periodo, con “i mercati narcotizzati da Draghi che continua a comprare titoli di Stato”, lo spread non rappresenta una minaccia e nemmeno le famigerate clausole di salvaguardia sull’Iva non sono un grosso problema.

“Per evitarlo”, spiega l’ex direttore del dipartimento Affari fiscali del Fondo monetario internazionale, “servono 12,5 miliardi, esattamente l’aumento di spesa pubblica previsto per il prossimo anno dal documento di programmazione finanziaria“. Ergo “basta mantenere la spesa costante e si scongiura il problema”. Insomma, non solo non servirebbero nuove tasse ma nemmeno tagli: sarebbe sufficiente congelare la spesa. E facendolo “per tre-quattro anni, al netto dell’inflazione, in una situazione di crescita moderata come oggi” il pareggio di bilancio chiesto dalla Ue potrebbe essere raggiunto senza lacrime e sangue. Così facendo l’Italia sarebbe salva e non dovrebbe temere lo stop del quantitative easing della Bce. A meno che, si intende, “non capiti una recessione improvvisa” causata da choc esterni. In quel caso, qualsiasi inquilino di Palazzo Chigi potrebbe far poco.

Da dove partire, comunque, per evitare che le uscite continuino ad aumentare e recuperare risorse per sterilizzare le clausole? “Iniziamo a togliere dei bonus elettorali, come quello ai diciottenni o alle neomamme, non è così che si aiutano giovani e famiglie. Abbiamo ancora un costo dei trasporti sussidiato: io guadagno bene e pago l’abbonamento del tram 300 euro all’anno, ma in sede di dichiarazione dei redditi ne potrei avere indietro 60: le pare giusto?”. La scure dovrebbe poi abbattersi sui “trasferimenti senza senso alle imprese” e “il groviglio di detrazioni e deduzioni“. Tagli sì, dunque, ma partendo da capitoli che rappresentano sprechi e non vanno a vantaggio di chi è davvero in difficoltà.

Un piano che evidentemente non ha entusiasmato nessuna forza politica: “Da dopo il voto non ho sentito nessuno, prima invece qualcuno si era fatto vivo”.

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