Ci sono mattine in cui ti svegli e la giornata è ancora tutta da scrivere. Prepari in fretta le prime cose della lunga giornata e con gli appuntamenti a mente ti dai il ritmo per scandire tutto il resto. Ci sono i vestiti per la scuola da trovare, perché la sera prima li avevi preparati ma non ricordi di preciso dove. C’è la colazione frettolosa che tira la corda di un risveglio lento e lamentoso.

Ci sono i grembiuli che non hai stirato perché per farlo prima avresti dovuto lavarli, ma ti accorgi troppo tardi che non sono autopulenti. Ci sono i capricci per andare a scuola – con o senza figurine, con o senza album, con o senza pesce rosso – e in questa contrattazione ci sono attese infine sul pianerottolo di casa, con l’ascensore aperto e il vicino che chiama. Ci sono scambi volanti tra un prendi tu, porto io, chiamo la mamma di e l’amica del cuore.

C’è ginnastica, nuoto, l’edicola, il capo, il pediatra, la fila del pediatra, inglese, i compiti, le giustificazioni, l’aerosol, il bagnetto, il “che facciamo il weekend” (ma è lunedì, è troppo presto presto per il weekend). C’è la partita, il pigiama, la contrattazione per mettere il pigiama e poi c’è la sera. Vi porto a letto e vi addormento, tre ore per due, quattro libri, cinque ninne nanne, lascia la luce accesa, c’ho sete, c’ho sete anch’io, “ma perché non me lo ha detto quando stavo già in cucina”.

Quando hai finito vorresti guardarli dormire, goderti l’odore del loro sonno, il riposo dei guerrieri. Ma non lo fai, perché domani è un altro giorno, anzi un’altra giornata ed è meglio che stavolta i grembiuli li lavi per poi poterli stirare.

Ci sono mattine in cui ti svegli e quel risveglio coincide con quello di chi ha aperto gli occhi sotto la guerra. È sabato, è il weekend, quello che avevi programmato dal lunedì prima e non c’è nulla questa volta che ti dia il senso per scandire il ritmo della giornata.

Giri per casa e avverti l’odore del sonno dei tuoi figli, stretti e protetti nelle loro stanze e pensi che tutti i bambini avrebbero diritto a un sonno tranquillo, ai capricci, a 100 e una ninna nanne.

Pensi che dall’altra parte del mondo – oggi in Siria, altrove chissà da quanto – non ci sono letti a cullare e neanche braccia da stringere, di sera come di giorno, e che il conforto (molto spesso) i bambini lo trovano tra piccoli coetanei. Piccoli che stringono altri piccoli, quando si perdono tra le macerie di un palazzo crollato o di una scuola che non esiste più. E pensi che vorresti aprirgli le braccia di casa tua, fatta di giochi, affetti, cure, bagni caldi, colazioni, rimproveri, attenzioni esagerate come l’amore che porti. Ma pensi anche non riesci a raggiungerli.

È sabato mattina e il conflitto in Siria è diventato una guerra anche per il resto del mondo. Ti alzi con l’odore del sonno caldo dei tuoi bambini e pensi che, in qualche strada ridotta a colabrodo o in qualche stanza senza più il tetto, c’è una mamma come te che cerca i figli, stretti l’un l’altro in un abbraccio tra piccoli.

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