A due anni dalla partenza della riforma della tariffa elettrica continuano ad arrivare segnalazioni di cittadini che si sono accorti che la struttura delle bollette è cambiata, e, come al solito, non in meglio. Lettori evidentemente molto attenti, vista la difficoltà a districarsi nelle tante voci che compaiono. L’ultima è quella di un utente che segnala di aver notato un aumento di 135 euro all’anno nel 2017 della bolletta per la seconda casa, nonostante i consumi siano bassissimi. “Una tassa sul patrimonio non ufficializzata”, la definisce il lettore. Infatti, come previsto dalla riforma decisa dall’Autorità per l’energia, dal primo gennaio dello scorso anno i non residenti devono pagare circa venti euro al mese di base, anche senza consumi. Con buona pace dei buoni propositi sull’efficienza energetica.

In generale la riforma, che interessa 30 milioni di utenti elettrici domestici italiani, prevede tre step progressivi, partiti il primo gennaio 2016. Gli obiettivi principali sono quelli di arrivare alla fine di queste tre fasi alla totale eliminazione della progressività (che permetteva a chi consumava meno di pagare in proporzione di meno, logica alla base del risparmio energetico) e allo spostamento degli oneri di rete e di sistema (che servono ad esempio a finanziare la promozione delle fonti rinnovabili e delle “assimilate”) dalla parte variabile della bolletta, cioè l’importo da pagare sulla base dell’energia elettrica trasportata sulla rete per soddisfare la richiesta del cliente, a quella fissa, che non varia in base al consumo.

L’ultimo step doveva scattare il 1° gennaio 2018 ma il governo, su segnalazione dell’Autorità per l’Energia, a dicembre scorso ha deciso di rinviare tutto di un anno, ossia al 1° gennaio 2019. “Ciò per evitare maggiori ulteriori esborsi ai clienti, specie quelli con bassi consumi”, era scritto nella segnalazione dell’Aeegsi. E ancora si legge: “L’attuazione del terzo step della riforma tariffaria per i clienti domestici del settore energetico comporterà inevitabili aumenti di spesa annua per larghe fasce della popolazione”.

Tutto questo nonostante tempo addietro la stessa Autorità per l’Energia avesse sostenuto di vedere solo vantaggi: la riforma “garantirà vantaggi ai consumatori” e “consentirà all’Italia di allinearsi all’Europa”, aveva assicurato il presidente, Guido Bortoni, rispondendo alle associazioni dei consumatori che invece sostenevano che avrebbe portato nuovi rincari, oltre a penalizzare il risparmio energetico e in generale le fonti rinnovabili.

Se l’ultima fase della riforma fosse partita come da programmi, i relativi aumenti si sarebbero sommati a quelli scattati, proprio dal 1° gennaio 2018, per le agevolazioni alle imprese energivore (ossia ad alto consumo energetico) che invece vedono ridursi, complessivamente, le loro bollette di 1,7 miliardi di euro. E si sarebbero sommati anche a quelli annunciati a fine dicembre dall’Autorità: +5,3% per le forniture elettriche (a causa dell’aumento del prezzo all’ingrosso del gas, delle spese legate all’ammodernamento della rete, della scarsa produzione di energia idroelettrica, della dispersione nelle reti al Sud Italia) e +5% per il gas (per il previsto effetto invernale). Parliamo, secondo le stime delle associazioni dei consumatori, di circa 79 euro in più all’anno a carico delle famiglie. Dunque meglio rinviare ulteriori stangate, soprattutto in campagna elettorale. Ma il conto arriverà comunque nel 2019.

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