“Quell’immagine probabilmente è tratta da un video di proteste precedenti, ma è forte perché richiama a una componente femminile che sicuramente è parte della protesta. Tuttavia, la scelta di quello scatto rischia di ridurre tutto alla questione del velo che, in Iran, assume molte sfaccettature diverse”. Parla dell’immagine della ragazza che manifesta in piazza sventolando il velo diventata un simbolo delle proteste di questi giorni in Iran, Rassa Ghaffari. Ventisei anni, i suoi genitori sono arrivati in Italia immediatamente dopo lo scoppio della Rivoluzione Islamica del ’79. Nata e cresciuta a Genova, negli anni ha sempre mantenuto i contatti con il resto della famiglia in Iran. Da un anno vive a Tehran, è ricercatrice in “Sociologia sui cambiamenti di genere e generazionali”.

“È vero – racconta la giovane dalla capitale iraniana – le donne sono ancora obbligate a indossare in pubblico l’hijab (un foulard che copre i capelli, ndr) e un vestito che non metta in evidenza le forme. Ma questo codice di abbigliamento è estremamente flessibile, e le iraniane lo hanno interpretato e modificato negli anni, rendendolo anche uno strumento di contrattazione politica. Ma soffermarsi su questi aspetti, pur presenti, rischia di ridurre la complessità di quanto stia accadendo in questo momento. La presenza femminile in piazza non è una peculiarità di queste proteste, in Iran le donne sono molto presenti nella vita politica. Come già successo nel 2009 con Neda Soltan, la ragazza uccisa da un proiettile in seguito a una manifestazione, sembra che i media (anche iraniani) abbiano bisogno di una eroina sacrificale su ci riversare la sete di giustizia e democrazia del lettore occidentale“.

Cosa spinge le persone in strada?

“Per la prima volta dal 2009, molti iraniani sono tornati in strada a urlare “morte al dittatore”, ma sebbene quella del popolo oppresso da un feroce regime sia una narrazione che piace ai media, è una semplificazione che rischia di travisare le cose. Costo della vita, corruzione e delusione: sono questi i punti chiave delle manifestazioni che, qui nella capitale, hanno assunto una connotazione più politica e si sono concentrate sulle mancate promesse di Rohani”.

Motivazioni economiche, quindi.

“I principali motivi di scontento sono la mancanza di lavoro, l’ormai altissimo costo della vita e la percezione che nulla stia cambiando, nonostante le promesse elettorali. L’euforia per il successo dell’accordo sul nucleare, che aveva spinto migliaia di persone a sperare nella fine delle sanzioni e in un miglioramento delle condizioni del Paese, ha ceduto il passo alla disillusione. Nonostante l’Iran stia rispettando i termini del patto, la situazione economica rimane stagnante a causa di un mix di inefficienza del governo e ostruzionismo internazionale. Tra i giovani la preoccupazione più sentita è quella di non riuscire a trovare un posto fisso e comprare una casa. Per molti, raggiungere l’indipendenza economica sembra un miraggio”.

Come viene visto “l’interessamento” degli Stati Uniti di Trump alle contestazioni di questi giorni?

“Se uno degli slogan più popolari, nel 2009, chiedeva a Obama di prendere posizione e intervenire al fianco della popolazione, oggi gli iraniani sembrano schierarsi compatti contro qualsiasi interferenza estera, molti, specialmente nelle prime ore, diffondevano il timore di un possibile colpo di stato spalleggiato dai “nemici” storici: Usa e Arabia Saudita“.

Quali sono le principali differenze tra le istanze di oggi e quelle dei moti scoppiati nel 2009 contro la rielezione di Ahmadinejad?

“Le proteste di questi giorni non hanno ancora raggiunto le dimensioni e l’intensità di quelle del 2009, anche se è impossibile avere ancora un quadro preciso. Inoltre è difficile comparare i due movimenti, perché i presupposti di partenza e il contesto generale sono molto cambiati”.

In che modo?

“Certamente non c’è una leadership carismatica che ispiri le manifestazioni. La maggior parte degli studenti, che nel 2009 avevano rappresentato lo zoccolo duro delle proteste, oggi sono confusi dalla mancanza di obiettivi comuni, o hanno paura di essere associati ai sostenitori di Ahmadinejad, tra i primi ad avviare le proteste. Più che di cambiamenti di genere o generazionali, si può osservare quindi un inedito protagonismo dei lavoratori e delle classi più basse, mentre quella medio-alta sembra per ora esitare”.

Quali sono le peculiarità della nuova protesta?

“Se nel 2009 la rabbia della popolazione aveva preso corpo nella cosiddetta “Onda Verde” riformista, oggi, più che ai leader riformisti come Khatami e Mousavi, per strada si inneggia alla defunta monarchia, e questo è un fenomeno inedito, che fa pensare che a prendervi parte sia un segmento della popolazione tradizionalmente escluso dalla politica, ignorata dai media occidentali e sfiduciata dal sistema. Chi scende in piazza non scandisce più “Dove è il mio voto?”, come nel 2009, ma sembra più chiedersi: “Dove sono il mio stipendio, dove sono le mie certezze?”. Solamente nelle ultime ore, a Teheran, si inizia a sentire anche la richiesta di maggiori diritti civili e di un nuovo referendum dopo quello che, nel 1979, ha sancito con il 98% dei sì l’instaurazione della Repubblica Islamica”.

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