Per i fatti della Diaz venne condannato a tre anni e otto mesi in via definitiva. L’accusa era quella di falso: mise la firma nei verbali che attestavano l’esistenza di prove fasulle usate per accusare ingiustamente le persone picchiate all’interno della scuola di Genova, durante il G8 del 2001. Una macchia nel curriculum che non ha sbarrato la strada a Gilberto Caldarozzi, nominato vicedirettore della Direzione Investigativa Antimafia. Il numero due della più importante struttura investigativa che si occupa di criminalità organizzata è in pratica uno dei poliziotti condannati per la “macelleria messicana” della Diaz.

Uno scatto di carriera deciso dal ministro Marco Minniti e che risale al settembre scorso. Raccontata dal Sole 24 Ore, la nomina del poliziotto condannato viene ora rilanciata dall’edizione genovese di Repubblica che riporta il messaggio del Comitato Verità e Giustizia per Genova. “Molti dei ragazzi tedeschi, vittime della polizia nel luglio 2001 spiegano di avere provato paura quando, ritornati in Italia per i processi o per le vacanze hanno incontrato agenti in divisa. Mi chiedo come si possa dire a queste persone che l’Italia è cambiata se uno dei massimi dirigenti del nostro apparato di sicurezza è oggi proprio colui che ieri fece di tutto per accusarli ingiustamente e coprì gli autori materiali dei pestaggi e delle torture”, dicono dal gruppo formato da ex arrestati della Diaz e di Bolzaneto e dai loro familiari.

Assolto in primo grado nel novembre 2008 dopo 172 udienze, Caldarozzi viene condannato in appello nel maggio 2010 dopo altre 18 udienze: poi su quella condanna arriva il bollo della Cassazione il 5 luglio 2012. Ai tempi del G8 era il più alto in grado, subito dopo Francesco Gratteri, anche lui condannato e promosso prefetto prima di andare in pensione. Considerato un investigatore esperto (ha fatto parte dei gruppi che hanno arrestato boss di Cosa nostra come Bernardo Provenzano e Nitto Santapaola) prima dei fatti della Diaz Caldarozzi dirigeva lo Sco, il servizio centrale operativo della polizia all’epoca guidata da Gianni De Gennaro. Dopo la condanna venne interdetto per cinque anni. Un lustro trascorso lavorando per una banca ma anche come consulente per la sicurezza da Finmeccanica, chiamato sempre dal suo ex capo De Gennaro. Nel 2014 Cassazione scrisse nelle motivazioni sul rigetto del suo affidamento ai servizi sociali: “Si è prestato a comportamenti illegali di copertura poliziesca propri dei peggiori regimi antidemocratici“. Ora scaduta l’interdizione torna a vestire la divisa. E occupando un ruolo prestigioso.

“Se io fossi stato Gianni De Gennaro mi sarei assunto le mie responsabilità senza se e senza ma. Mi sarei dimesso”, diceva in un’intervista a Repubblica, nel luglio scorso, l’attuale capo della Polizia Franco Gabrielli. Nel frattempo l’Italia ha persino approvato una nuova legge contro la tortura, criticata dagli stessi magistrati dei processi di Genova. E un imputato poi condannato in quei processi è stato promosso a numero due dell’Antimafia.

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