Costruito sul modello di un almanacco popolare o di un college avanguardista dada, Il giro del giorno in ottanta mondi, di Julio Cortázar (traduzione di Eleonora Mogavero; Edizioni Sur), è un testo impossibile da riassumere in modo canonico. Il libro contiene infatti racconti, riflessioni, versi, immagini, fotografie che moltiplicano i significati dell’opera e permettono al lettore di ricercare percorsi di lettura alternativi. È una sorta di enciclopedia personale dell’autore argentino, dove c’è posto per la letteratura, Parigi, Buenos Aires, i gatti, Man Ray, Lester Young, il pugilato, Charlie Prker, Clifford Brown, il Vietnam, la violenza minorile in Venezuela, l’umorismo, esercizi di lirismo e saggistica, riflessioni sul tempo, Thelonious Monk, Carlos Gardel, Marcel Duchamp e Louis Armstrong.

Ricorrendo spesso all’utilizzo di una lingua colloquiale, Cortázar scrive un magistrale trattato letterario che è al contempo razionale e irrazionale, traccia percorsi sublimi di creazione fantastica amalgamata con la più cruda realtà. Si tratta di un’opera totale che andrebbe gustata a piccole dosi e interpretata in modo personale e inedito, a seconda della sensibilità del lettore.

Kappa e altre storie, di Ryūnosuke Akutagawa (traduzione di Alessandro Tardito; Atmosphere libri) raccoglie i racconti inediti in italiano degli ultimi anni di vita dell’autore, considerato uno dei più importanti scrittori giapponesi del Novecento, morto suicida nel 1927 dopo aver assunto una dose letale di un acido barbiturico (ne parla in modo magistrale David Peace in Fantasma, testo pubblicato da Il Saggiatore, di cui ho scritto in passato). Sono brevi componimenti fortemente autobiografici, dal pacifismo contenuto in Storia di una testa caduta (il racconto che apre la raccolta), che descrive nel dettaglio gli istanti vissuti da un soldato cinese dopo aver subito una ferita mortale al collo da parte di un fante dell’esercito giapponese, all’analisi della follia umana e della sacralità, raccontate attraverso inconsueti punti di vista in Un bizzarro rincontro, Ogin e La Vergine nera.

È un mondo malinconico, fatto di solitudine, sogno e arte quello tessuto da Akutagawa, che ha il suo culmine nel capolavoro I kappa, compendio di tutte le tematiche emerse nella sua sconfinata produzione letteraria: folklore, schizofrenia, allegoria del mondo, il deteriorarsi della società per colpa del capitalismo, l’incomunicabilità con l’altro sesso, la negatività portata da nazionalismo e socialismo.

Zigmunds Skujiņš, uno dei più famosi scrittori baltici del Ventesimo secolo, un classico moderno le cui opere in lettone e in traduzione sono state pubblicate in oltre sette milioni di copie, nel corso della sua lunga carriera ha scritto una ventina di romanzi e raccolte di racconti, oltre ad alcune commedie e sceneggiature. Come tessere di un domino (traduzione e postfazione di Margherita Carbonaro; Iperborea) è un’opera di narrativa originale, incantevole, capace di immergere il lettore nella storia della Lettonia attraverso il punto di vista, a volte personale a volte quasi onnisciente, di protagonisti indimenticabili: il figlio di un’artista circense, il suo fratellastro giapponese, una malinconica Baronessa, un anziano che gestisce un noleggio di carrozze.

La città di Jelgava, in Curlandia, è uno dei luoghi cardine dove tutte le azioni convergono, e da contraltare alle riflessioni sull’identità nazionale lettone ci sono il Diciottesimo secolo di calvinisti e nobili di stirpe germanica, l’occultismo e la Rivoluzione Francese. Un romanzo che a tratti ricorda il realismo magico di Gabriel García Márquez, Jorge Luis Borges e Manuel Scorza, e in altri l’avventuroso, incalzante piglio calviniano del Visconte dimezzato e del Barone rampante. Un’allegoria politica e umana sorprendente che diverte e commuove e apre una finestra su un territorio europeo ancora sconosciuto a molti lettori.

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