La pedofilia in Australia “è una tragedia nazionale”. Sono queste le parole usate dal primo ministro australiano, Malcolm Turnbull, per commentare l’alto numero di casi di abusi sessuali su minori raccolti dalla Royal Commission, la Commissione d’inchiesta per gli abusi sui minori istituita nel 2012 dall’allora premier Julia Gillard. Circa 15mila deposizioni, più di ottomila vittime ascoltate in audizioni private in poco più di quattro anni, da maggio 2013 a novembre 2017, che hanno raccontato gli abusi subiti da bambini, a partire dal 1950 fino al 2010. Numeri che riportano all’attenzione il problema delle molestie e dei casi di pedofilia all’interno della Chiesa Cattolica australiana che, emerge dal documento pubblicato dalla commissione in 17 volumi, rappresentano il 60% di tutti i casi di abusi da parte di istituzioni religiose.

La Chiesa Cattolica australiana, si legge nel report, ha dimostrato “catastrofici fallimenti di leadership” nel corso di questi sessant’anni, soprattutto nel periodo precedente agli anni ’90, quando anche all’interno delle istituzioni ecclesiastiche si è iniziato a riconoscere l’esistenza del problema. Per ovviare a questa carenza, la Royal Commission, tra le 409 raccomandazioni elencate nel documento, ha invitato gli alti prelati australiani a valutare la possibilità di abolire l’obbligo di castità per i sacerdoti e di denunciare alla polizia ogni caso di abuso su minori del quale verranno a conoscenza nell’esercizio delle proprie funzioni, venendo meno, così, al segreto professionale. Opzione subito rispedite al mittente dall’arcivescovo di Sidney, Anthony Colin Fisher.

I casi raccolti dalla Royal Commission sono tantissimi. Soltanto a partire dal 2013, quando la commissione ha di fatto iniziato i propri lavori, sono state identificate oltre 4mila istituzioni nelle quali sono stati commessi abusi su minori, 2.600 persone sono state segnalate alla polizia e sono state avviate 230 azioni penali. Per questo il presidente della commissione, Peter McClellan, ha dichiarato che “non si tratta di un problema del passato”, ma di una piaga che ancora oggi affligge il Paese e, soprattutto, i bambini australiani.

Le testimonianze raccolte, molte delle quali sconosciute fino ad oggi, raccontano di soprusi continui, sistematici e che, in alcuni casi, sfociavano in atti di estrema violenza. Come quella, già nota, che ha coinvolto Padre Peter Searson. Prete dal 1962, le segnalazioni riguardanti il suo carattere scostante, aggressivo e, in alcuni casi, violento, non tardano ad arrivare. La prima denuncia di stupro su una giovane donna arriva nel 1974 sulla scrivania dell’allora arcivesovo di Sidney, Frank Little, che però non ritiene di dover prendere provvedimenti concreti nei confronti di Searson che continua a svolgere il suo compito come cappellano della Villa Maria Society for the Blind fino al 1977, quando viene nominato prete della parrocchia di Sunbury.

Anche dopo il suo trasferimento, le segnalazioni riguardanti i suoi comportamenti con i parrocchiani e i bambini sono continuate ad arrivare. Secondo la Commissione, è probabile che l’arcivescovo Little sapesse che Searson organizzasse delle “lezioni di educazione sessuale individuali con bambini all’interno della sua camera da letto”, ma solo nel 1984 avverrà il suo trasferimento nella parrocchia di Doveton. Lì il prete rimarrà per 13 anni durante i quali, ammette l’attuale arcivescovo di Melbourne, Denis Hart, arriveranno uno “sconcertante numero di segnalazioni” di abusi a suo carico. Uno di questi casi, raccontato nei volumi pubblicati dalla commissione, è quello di Julie Stewart: la ragazzina, ancora minorenne, era stata vista fuggire in stato di shock dal confessionale dentro al quale si trovava con Padre Searson. Le insegnanti dichiararono che la bambina era stata vittima di molestie da parte di Searson, ma Stewart non riusciva a parlare e a raccontare cosa era accaduto dietro la tendina del confessionale. Lo farà solo tre anni dopo, in un racconto che riproporrà anche ai membri della Royal Commission: “Le prime tre o quattro volte (che ci siamo incontrati, ndr) – si legge nelle trascrizioni – Padre Searson mi disse di sedermi sulle sue ginocchia e mi chiese di baciarlo sulla bocca. La quinta volta che andai a confessami e quelle successive, Searson iniziò a toccarmi”. A gettarla in un completo stato di shock è stato, poi, l’ultimo confessionale col prete: “Mi sollevò dalle sue ginocchia e mi mise sul suo grembo, così potevo sentire la sua erezione sul mio sedere. Mi spinse forte verso di lui, mi faceva male. Nell’orecchio mi sussurrava ‘Se una brava bambina, il Signore ti perdona’”.

Nemmeno questi racconti sono bastati alle alte cariche religiose di Melbourne per cacciare il prete e impedirgli, così, di svolgere le sue funzioni. I casi di denuncia nei confronti di Searson sono continuati ad aumentare e andavano dalle molestie verso i minori, alle uccisioni e torture nei confronti degli animali e alle minacce ai ragazzi con pistole e coltelli. Solo nel 1997, l’allora arcivescovo di Melbourne, George Pell, decise di metterlo in congedo amministrativo fino alla sua morte, privandolo di fatto della possibilità di svolgere le proprie funzioni.

Il caso Searson è proprio l’esempio di ciò che la commissione ha definito come una totale mancanza di leadership da parte della Chiesa Cattolica australiana che, come si evince, sfocia anche in atteggiamenti volti a minimizzare o addirittura nascondere gli abusi da parte dei sacerdoti. Uno scandalo, quindi, che coinvolge i preti di piccole parrocchie ma anche alti prelati. Come nel caso proprio di George Pell, oggi il più alto prelato cattolico australiano e dal 2014 terzo di gerarchia in Vaticano come Prefetto degli Affari Economici. Mentre il cardinale è stato messo in congedo da Papa Francesco per dargli l’opportunità di volare in Australia e difendersi dalle recenti accuse di pedofilia riferite a episodi di alcuni decenni fa, il suo nome compare più volte nelle carte pubblicate dalla Royal Commission: in alcuni casi semplicemente come collaboratore delle indagini, in altri, come nel caso della denuncia per abusi di John Ellis contro Padre Aidan Duggan, come soggetto che, a parere dei relatori, avrebbe ostacolato le indagini interne per nascondere le responsabilità del prelato.

Twitter: @GianniRosini

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