“Questo processo non s’ha da fare”. Citando don Abbondio un magistrato del palazzo di giustizia di Torino commenta quanto avviene a Roma. Il processo è quello all’ex amministratore delegato di Eternit Stephan Schmidheiny, già prescritto nel processo per disastro ambientale doloso e ora imputato per la morte di 258 persone colpite da malattie provocate dall’amianto. La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibili i ricorsi della procura generale e della procura di Torino contro la sentenza con cui il 29 novembre 2016 il gup Federica Bompieri decideva di cambiare l’accusa nei confronti del manager svizzero, da omicidio volontario al meno grave omicidio colposo, e “spacchettare” il procedimento in quattro filoni: quello sui morti di Casale Monferrato, il numero più consistente, va a Vercelli; quello per i due morti di Rubiera a Reggio Emilia, quello per gli otto decessi di Bagnoli a Napoli e a Torino resta un procedimento per due soli casi. E meno ne rimarranno nel corso dei quattro procedimenti: i decessi avvenuti prima del 2005 sono già prescritti.

Soddisfatta la difesa di Schmidheiny. Mentre Massimiliano Gabrielli, legale dell’Anmil, parla di “ennesimo regalo al miliardario Schmidheiny”. “Quando una organizzazione imprenditoriale continua consapevolmente a far soldi sulla pelle della gente bisogna parlare di omicidi volontari, senza se e senza ma…”, ha aggiunto. “Continuare la produzione in condizioni che notoriamente secondo la scienza provocano la morte delle persone che lavorano negli stabilimenti e di chi vive intorno alle fabbriche equivale ad accettare il rischio certo dell’evento morti, il che nel nostro ordinamento penale corrisponde ad omicidio con dolo eventuale. Ci aspettavamo quindi che la Cassazione applicasse semplicemente la legge, senza scivolare sulle difese tecniche”.

La decisione dello spacchettamento aveva causato molta preoccupazione: i processi sarebbero stati più difficili, i tempi della prescrizione più stretti col rischio di vanificare, ancora una volta, il lavoro della procura e le speranze dei familiari di quegli ex dipendenti e semplici cittadini deceduti per i mesoteliomi pleurici provocati dalla fibra killer lavorata negli stabilimenti dell’Eternit.

Già il 20 novembre 2014 la Cassazione aveva dichiarato prescritto il reato di disastro ambientale perché, a differenza di quanto sostenuto dai pm e dai giudici torinesi, quel reato andava ritenuto concluso nel 1986, anno di chiusura degli stabilimenti italiani, e non bisognava considerare gli effetti provocati dall’inquinamento ambientale che ha continuato a mietere vittime. Quasi mille familiari delle vittime erano rimasti senza risarcimenti. C’era però un punto fermo che ha dato modo a Raffaele Guariniello e ai colleghi di riprendere il fascicolo per i decessi di 258 persone avvenute nel corso del primo processo: la multinazionale del cemento amianto era a conoscenza del reale pericolo che correvano i suoi dipendenti nel maneggiare l’asbesto senza misure di sicurezza, anzi aveva fatto di tutto per nascondere le informazioni sui rischi, ragione per cui tumori e decessi non possono essere un incidente, ma un atto intenzionale.

Seguendo questa linea nel 2015 la procura di Torino chiede un nuovo processo per Schmidheiny accusandolo di omicidio volontario per la morte di quelle 258 persone, ma il percorso si fa subito complesso. Poco dopo l’inizio delle udienze preliminari la difesa del manager elvetico solleva una questione giuridica, quella sul “ne bis in idem”, principio secondo il quale una persona non può essere processata due volte per lo stesso fatto: può quindi Schmidheiny subire un secondo processo per le stesse condotte, anche se con un reato diverso? Il gup Federica Bompieri ritiene sia il caso di mandare la questione alla Corte costituzionale il 24 luglio 2015. Il processo si ferma per più di un anno: il 21 luglio 2016  la Consulta decide che non è stato violato quel principio perché se una stessa condotta, già giudicata, provoca una nuova morte, questa “è un nuovo evento in senso storico”. Si torna in aula a Torino il 28 ottobre e il 29 novembre il gup rinvia a giudizio Schmidheiny, ma non per omicidio volontario, bensì per omicidio colposo, fattore che determina la prescrizione di un centinaio di casi e lo “spacchettamento” del processo.

Contro quella decisione partono due ricorsi in Cassazione. Il primo era quello del sostituto procuratore Gianfranco Colace, che con Raffaele Guariniello e Sara Panelli aveva svolto l’inchiesta e rappresentato l’accusa nel primo processo. A lui è rimasto il fascicolo Eternit bis, portato a processo. Il secondo ricorso alla Suprema Corte era stato firmato dalla procura generale, pm Carlo Pellicano e Francesco Saluzzo. Nel frattempo, a Torino e a Napoli cominciano i processi per omicidio volontario (nella prima città riprenderà il 19 dicembre).

Nonostante le tesi sostenute dai pm torinesi, ieri il sostituto procuratore generale Delia Cardia ha chiesto alla prima sezione del Cassazione il rigetto dei ricorsi. I quattro processi proseguiranno per omicidio colposo fino alla prescrizione dei reati. Schmidheiny, che nel 2013 era stato condannato dalla Corte d’appello di Torino a 18 anni di reclusione e al pagamento di 89 milioni di euro di indennizzi, può essere tranquillo.

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