La gran fortuna degli italiani che adottano comportamenti sconvenienti sta nel fatto che, quasi sempre, chi è chiamato a criticare, controllare o giudicare quei comportamenti ha anch’egli molto da farsi perdonare.

Il caso delle recenti critiche alla Banca d’Italia – evidentemente e oltre ogni ragionevole dubbio incapace di evitare, affrontare o anche solo prevedere gli scandali bancari degli ultimi anni – ne è la prova evidente. Ignazio Visco, un governatore cieco innanzi al fallimento di 7 banche di dimensione rilevante, incapace di prevedere le prevedibilissime conseguenze della direttiva sul bail in (e anzi, dopo averne elaborato e sottoscritto il testo in sede comunitaria, talmente coraggioso da accusare l’Europa come un leghista qualsiasi…), sbugiardato dal default della Vicenza, esploso, guardacaso, solo dopo l’accentramento in capo alla Bce dei poteri di vigilanza sulla banca, ecco, quel governatore lì, proprio quello lì, viene confermato per un’unica ragione: perché il suo principale accusatore è Matteo Renzi, il segretario meno autorevole della storia del Pd.

Un segretario che, dopo i fasti del 40% alle Europee, pur di proteggere il più caro dei dilettanti allo sbaraglio che lo circondano – a.k.a. “Giglio Magico”, composto, per la restante parte, da imprenditori di provincia aspiranti 007, galoppini di partito, sindaci di piccoli comuni, vigili urbani – ovvero la pupilla Maria Elena Boschi, arriva a sacrificare il partito e ogni sua credibilità, le riforme costituzionali, la propria immagine, il proprio futuro politico addirittura, in una battaglia folle che finisce per coprire indirettamente e soprattutto le responsabilità della ben peggiore classe dirigente storica del Pd, quella sì, compromessa con la gestione dilettantesca di almeno 5 delle 7 banche fallite.

E qui ancora una volta interviene il salvagente del “lui è peggio di me”: perché i principali nemici di quello che sembrava Tony Blair e invece era un calesse, sono proprio i rimasugli di quella classe dirigente, quelli che “abbiamo una banca”, quelli che usavano palazzo Chigi per collocare oscuri avvocatucoli di provincia sulle vette della terza banca italiana, quelli che per 20 anni e mezzo hanno fatto le riforme del mercato del lavoro, le riforme costituzionali, le manovre e le manovrette per poi – mangiata la foglia e inteso che il proprio destino con Renzi segretario era la forca della non ricandidatura – intraprendere la strada barricadera della scissione revolucionaria, lasciando Renzi col cerino in mano a parlare di banche fallite e colpe del Pd.

E a questi si accodano i ragazzi meravigliosi del M5S che, nell’involontario tentativo di salvare Renzi dal suicidio politico spediscono in commissione d’inchiesta nientemeno che Carlo Sibilia – famoso complottaro che non distingue un conto corrente da una presa della corrente – e, addirittura, si mettono d’accordo con Forza Italia per ingaggiare come “tecnico esperto” il pm di Trani Michele Ruggero, noto urbi et orbi per le inchieste sul gotha della finanza mondiale. Tutte, regolarmente, fallite. Più velocemente delle banche.

E poi diciamoci la verità: si può credibilmente accusare il papà della Boschi del fallimento di Banca Etruria per esserne stato vicepresidente appena un anno? Si fa un buco da 1 miliardo nei bilanci di una banca in un anno? Siamo seri, per l’amor di Dio…

La storia del padre della Boschi è soltanto l’ultimo misero episodio di provincialismo spaccone, l’ennesima manifestazione delle manie di protagonismo di un gruppetto di potere che, dopo aver vivacchiato 50 anni nell’anonimato toscano invidiando i fasti romani, appena ha potuto ha cominciato a piazzare parenti ovunque rimanesse uno strapuntino scoperto: enti comunali, provinciali, regionali, fondazioni, consorzi, aeroporti. E tra le tante seggiole occupate volete che manchi proprio una banca? Peccato che la fretta di accalappiare il posto al sole per il parente di turno sia stata tale da non vedere che quella che sembrava un’istituzione finanziaria prestigiosa in realtà era la brutta copia del Titanic. A 100 mt dall’iceberg.

Ecco se proprio vogliamo accusare Renzi, Boschi e famiglia, accusiamoli di qualcosa di cui sono realmente colpevoli: non saper leggere un bilancio, non distinguere un’azienda fallita da un’azienda sana, al punto di mettere a rischio anche il proprio sedere.

E poi chiediamoci se è il caso di fargli governare il Paese.

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