A un certo punto ritira fuori quella cosa che lo fa sempre molto sorridere, la storia del “metodo Grasso“. E’ la storia di quando si addormentò Pietro e si svegliò “metodo”. Il “metodo Grasso” è quello che l’ha fatto diventare presidente del Senato, una candidatura con la quale Pierluigi Bersani spaccò il gruppo dei Cinquestelle. Ora lo ripete, come se fosse un portafortuna: “Faremo un programma partecipato, serio con cura… qualcuno parla di un ‘metodo Grasso'”. Un portafortuna, ma anche un riconoscimento di chi l’ha voluto lì, Bersani, che dall’inizio alla fine si spella le mani, partecipando alle numerose ovazioni del presidente ex magistrato che ora diventa capo politico. Un portafortuna, un riconoscimento, ma anche l’ultima speranza dei partiti a sinistra del Pd. L’incoronazione di Grasso come guida di Liberi e uguali – il nuovo soggetto nato dall’unione di Mdp, Sinistra Italiana e Possibile – è un continuo battimani perché funziona quasi come un rito propiziatorio. La scommessa della scissione, la preoccupazione di non apparire come la solita ridotta di sinistra, l’accusa di fare una “nuova Rifondazione”, i Podemos dei poveri. Invece il bagno di folla (arrivano in 5mila e moltissimi devono restare fuori dall’Atlantico Live di Roma) pulisce tutto, almeno per oggi. C’è D’Alema, certo, si rivede Vendola. Ma non è affatto tutto qui, perché sul palco salgono Pietro Bartolo, il medico di Lampedusa, la presidente dell’Arci Francesca Chiavacci, la ricercatrice precaria del Cnr, Simone Silvani di Banca Etica, il sindaco di Cerveteri Alessio Pascucci, l’impiegata della Melegatti Laura Tarantini che smuove parecchio la sala con il suo intervento: “In questi lunghi mesi, noi assieme ai maestri pasticceri, abbiamo sempre lavorato, facendo i turni giorno e notte, alla conservazione del lievito madre, la componente fondamentale per fare i nostri dolci”. Solo grazie al ‘lievito madrè, sottolinea Tarantini, potremo avere “una speranza per il futuro”. Nel frattempo in sala girano l’ex Idv Nello Formisano, l’ex dc Enzo Carra, l’ex Pd Antonio Bassolino. Mondi diversi che si ritrovano dove forse non avrebbero mai detto. “Noi siamo qui senza rancore o nostalgia – dice Piero Grasso – A noi sta a cuore il futuro”.

Grida tre volte “liberi e uguali” e si commuove
Grasso, ci crede D’Alema, è un “uomo capace di straordinaria empatia perché è un uomo di sinistra, una persona autentica rispetto a tanti costruiti in laboratorio. Questa è una grande forza” e “l’obiettivo del 10 per cento ora è più vicino”. Il discorso del presidente del Senato (“Si può essere imparziali senza rinunciare alle idee”) fa tutto il resto. “Ci batteremo perché tutti siano liberi e uguali, liberi e uguali, liberi e uguali” grida alla fine, lanciando il nome del movimento che è anche già un programma elettorale. Liberi e uguali, lo ripete tre volte. Dopo l’ultima la voce si incrina per la commozione e arriva il lungo applauso salvifico. Grasso porta la mano sul cuore e poi si asciuga velocemente le lacrime mentre in sala partono le note di “Dedicato a chi” di Lelio Morra: “Niente dà libertà più di essere se stessi”.

Lo spartito di Grasso suona la musica che questa gente sembra aspettare di ascoltare da cinque, dieci, vent’anni e soprattutto negli ultimi 4, quelli della trasformazione renziana del Pd. E più o meno Grasso riparte da lì: “Dare le dimissioni dal gruppo Pd – ha spiegato – è stata una scelta politica e anche personale, frutto, di un’esigenza interiore. Ho ricevuto tante telefonate, mi hanno offerto incarichi e chiesto di fermarmi un giro, mi hanno chiesto di fare la riserva della Repubblica: mi dispiace questi calcoli non fanno per me”. Tra le offerte, spiegherà, anche quella di “seggi sicuri”.

“Basta con l’uomo solo al comando circondato dagli yes men”
Non nomina nessuno dei prossimi avversari. Più spesso lascia i riferimenti nell’implicito. Per esempio: “Non aspettatevi da me, neanche in campagna elettorale, fiumi di parole. Altri sono bravissimi in questo, suggestionano con le parole. Io parlerò di cose concrete: noi faremo proposte serie“. Sorride: “Le fake news le lasciamo ad altri…”. Oppure: “Lottiamo perché si abbandoni la cultura dell’arroganza e della furbizia e si abbracci quella dell’inclusione e della partecipazione”. E soprattutto: “Non può avere successo un uomo solo al comando circondato da tanti ‘yes men’ e io non voglio esserlo”. E ancora: “In troppi giocano sulle parole facendo leva sulla paura delle persone. Perciò la nostra comunità si scopre più divisa, più frammentata, più debole e rancorosa. A parole sbagliate corrispondono politiche sbagliate. Serve un lavoro paziente, lungo e appassionato che non si esaurirà il giorno delle elezioni ma continuerà per una comunità coesa e solidale”. Piuttosto Grasso sembra far partire un altro messaggio a chi è rimasto fuori: Pisapia soprattutto, ma anche i protagonisti della vittoria del No, il presidente di Libertà e Giustizia Tomaso Montanari e l’avvocata Anna Falcone. “Ho scelto ottimi compagni di viaggio, ma tanti altri arriveranno. Il nostro progetto è aperto e accogliente. Costruiremo una nuova alleanza tra cittadinanza attiva, sindacati, forze intermedie”. La presidente della Camera Laura Boldrini gli manda il suo augurio da lontano, ma in platea si vede il suo portavoce, Roberto Natale.

La sinistra, dunque, piena e senza incertezze, lontano dalle ambiguità di questi anni. A partire dall’antifascismo: “No a inaccettabili intimidazioni: mi ha colpito la rabbia di quei quattro fascisti. Fascisti, diciamolo. C’è un’onda nera che monta. A partire dalle periferie delle nostre città. E allora è da lì che dobbiamo tornare, è da lì che dobbiamo ripartire”.

La parola del giorno: discontinuità
La parola-chiave è discontinuità. La pronunciò Pisapia, gliel’ha rinfacciato mille volte D’Alema, la pronuncia ripetutamente Grasso. “Con noi ci sarà una discontinuità nella politica e nel modo di raccontarla: lancio un appello ai ragazzi, prendete in mano il vostro destino”. “Radicalità e totale discontinuità nei comportamenti e nei modi di fare politica e di praticarla” insiste con “la testarda convinzione che in questo momento deve prevalere lo spirito di servizio, la volontà di partecipare a qualcosa più grande di noi, la generosità di parlare a un pezzo di paese che si è allontanato che si astiene“. Per questo dice il voto utile è proprio al nuovo partito che nasce: “Il nostro – continua – è un progetto più grande di come finora lo hanno raccontato e se ne accorgeranno presto. Non lasciamoci scoraggiare di chi parla di rischi di sistema, favori ai populismi, voto utile. L’unico voto utile è chi costruisce speranze portando in Parlamento i bisogni e le richieste della metà d’Italia che non vota. E’ questo il voto utile”. Un richiamo continuo, insomma, ai disillusi, all’elettorato che – come dice sempre D’Alema – il Pd ha perso per strada. “Possiamo cambiare questo Paese con umiltà, con proposte serie – promette – In questi mesi ho incontrato tante persone con la testa china, rassegnata agli scandali, che non crede più alle istituzioni e ai partiti. Il nostro compito è far alzare la testa a questi cittadini”.

“Oggi parlo di giustizia, ma di giustizia sociale”
Nel merito il punto di partenza è che vuole scrollarsi di dosso la figura di colui che si occupa delle “sue” materie. Se di giustizia vogliamo parlare, dice, parliamo della giustizia sociale. “Serve un po’ d’ordine in una giungla paradossale di bonus. Serve un welfare capace di prendersi cura delle fragilità e una tassazione progressiva. I bonus passano ma i figli restano”. Al centro della proposta, insiste, “metteremo la volontà di rimuovere gli ostacoli economici e sociali che limitando la piena uguaglianza dei cittadini impediscono la partecipazione di tutti al Paese. Questo è il nostro articolo 3“. E al lungo applauso che è seguito commenta: “Vedo che ancora la costituzione ha dei fans: mi fa piacere. Quelli che la Costituzione l’hanno difesa si mobiliteranno in questo percorso”.

Civati: “Pisapia, dove campo vai?”
Tra invitati e delegati ci sono circa 5mila persone. “Voglio chiedere scusa a chi è rimasto fuori da questa sala – dice tradendo un po’ di soddisfazione Nicola Fratoianni, segretario di Sinistra Italiana – Mi rendo conto che abbiamo sbagliato, dovevamo prendere un luogo più grande”. Il primo a parlare tra i leader politici è stato Pippo Civati. “Il nostro progetto – ha detto il leader di Possibile – non è solo mettere insieme la sinistra, che è un’impresa titanica mai riuscita, il nostro progetto è cambiare l’Italia, la sua politica, i suoi rapporti di potere”. E manda l’ultimo avviso a Giuliano Pisapia: “Altri stanno allestendo coalizioni da incubo, in cui c’è dentro tutto: Minniti con Bonino, Merkel con no euro. Noi saremo rigorosi”. “C’era chi diceva ‘mai con Alfano‘, patrimoniale, ius soli. E allora perché poi va con Alfano, con chi non vuole lo ius soli, con chi quando nomini la patrimoniale gli viene un colpo? Il mio appello è: Giuliano, dove campo vai?”.

Fratoianni: “Ribadiamo fedeltà agli oppressi”
Fratoianni
, leader di Si, ricorda che “è stato un viaggio lungo, il viaggio di chi ha percorso strade diverse ma insieme sente un’urgenza che è quella di tornare a interpretare il mondo che abbiamo davanti e tornare a costruire un orientamento, ribadendo fedeltà agli oppressi e coltivando il pensiero critico per dare corpo a un’alternativa credibile, vivace, vera”. “In questi anni si è stravolto il senso delle parole, con una diseguaglianza che è andata crescendo a ritmi impressionanti: la sinistra ha perso la forza delle parole per dire che basta, occorre invertire la rotta”, sottolinea.

Speranza: “Siamo il movimento del lavoro”
Per Roberto Speranza, coordinatore di Mdp, questo sarà “il movimento del lavoro“. Ma anche “quelli della difesa della Costituzione. Siamo quelli del 4 dicembre. C’è chi ha dimenticato la lezione di quel giorno e presto ne avrà un’altra”. Il riferimento, anche senza citazione, è a Matteo Renzi. “Noi siamo quelli del lavoro, siamo quelli che vogliono rappresentare le nuove tante insicurezze, perché tanti sono gli insicuri, come lo sono anche i giovani avvocati, i giovani ingegneri, i giovani a partita Iva. Ci dobbiamo aprire anche a loro”. Non basterà un nuovo partito da presentare alle elezioni, dunque: “Serve una nuova radicalità, cambiare davvero. Se qualcuno pensa a stampelle e liste civetta guardi da un’altra parte perché qui non siamo interessati: faremo un soggetto grande”.

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