Il caporedattore che prende la mano di Marianna mentre parla del suo prossimo servizio per farle capire “quanto spazio potrà avere sul giornale”. Le storie arrivate alla casella mail tiraccontolamia@ilfattoquotidiano.it per denunciare molestie e abusi di potere sul posto di lavoro, riguardano anche e naturalmente il mondo del giornalismo. Che, come già emerso negli anni, rimane uno dei contesti dove certe dinamiche sono ben radicate e continuano sempre uguali da generazioni. Marianna ha iniziato a lavorare negli anni ’70 ed è una giornalista di successo: ad ogni risultato è combaciata l’accusa di essere andata a letto con il capo di turno, perché in molti casi c’era chi sapeva che sarebbe stata la scorciatoia. Rebecca dice di essere stata una cronista mediocre, e per questo di essere stata più facilmente vittima di offerte di carriera fulminante. Un capo di una nota agenzia ad esempio le ha offerto un colloquio, ma solo a patto che uscissero insieme. Oppure ci fu il conduttore di un programma che le promise grandi cose, ma al presunto incontro di lavoro si presentò con un mazzo di rose rosse. Rebecca ha rifiutato tutte le offerte ed ha rinunciato per sempre al lavoro di giornalista.

Il mazzo di rose rosse al colloquio – Rebecca per un attimo ha sognato di poter entrare nel mondo della stampa. La prima promessa è arrivata da un responsabile di una nota agenzia di stampa incontrato per caso durante un evento. “All’epoca cercavo di fare il salto da stagista precaria a professionista. Durante i due giorni di evento, il giornalista, si mostrato estremamente simpatico e disponibile, assicurandomi che mi avrebbe fatto ottenere un colloquio. Una volta tornati a casa, mi ha chiamato per invitarmi a cena dicendomi che se avessi voluto il suo aiuto sarei dovuta uscire con lui. Non sono mai uscita con lui e non ha mai avuto un colloquio”. Nonostante questo, Rebecca ha fatto un secondo tentativo: “Ho iniziato a lavorare su una rete privata con uno share inesistente. Dopo alcune puntate in cui mi occupavo di preparare i contenuti per il programma e assistere il conduttore durante la puntata il regista mi disse che ero molto brava e che avrebbe voluto darmi un programma tutto mio. Mi invitò a cena per discutere il programma, andai, si presentò con un mazzo di rose rosse. Lo respinsi e indovinate un po’? Il programma non si fece mai”. Rebecca non ha rimpianti, dice. Ma riconosce i tentativi di chi ha potere di fare pressione sui mediocri: “Non ero certo un astro nascente del giornalismo, ma avevo voglia e passione. Sono sicura che le ragazze con tanto tanto talento riescono a fare carriera senza alcun compromesso ma quando sei carina e mediocre alcuni ci provano. Provano ad esercitare il loro potere sperando di ottenere qualcosa”.

Il caporedattore mi mise la mano sulla sua patta mentre parlava dello spazio che mi avrebbe concesso  Marianna è diventata giornalista professionista negli anni ’70. Donna in un mondo di uomini, racconta le difficoltà di riuscire a essere prese sul serio e la credibilità che vacilla a ogni rifiuto di offerte che vanno oltre il lavoro. “Il primo abuso l’ho subito a quattro anni”, dice senza voler entrare nei dettagli. “E’ quello che mi ha dato il coraggio di dire no alle proposte indecenti. Ribelle e arrabbiata, ferita da questo sopruso, ho avuto la sfacciataggine e la forza di umiliare un direttore generale, un caporedattore, un conduttore, un direttore di giornale ed un presidente del Consiglio. Tralascio il disprezzo provato a tonnellate e l’oceano di lacrime versate (di nascosto, s’intende) causa i miei colleghi”. Quindi Marianna descrive il capitolo di ogni risultato che viene associato a una prestazione sessuale: “Non dimentico la vergogna di essere scrutata quotidianamente, nella mia femminilità, e trattata dai più come una da portare a letto, perché se ero arrivata lì, in quella redazione, ovvio che fossi stata l’amante del direttore e altrettanto ovvio che le interviste esclusive che ottenevo e che venivano pubblicate con molto risalto in prima ed in terza pagina, le avevo ottenuto con lo scambio di sesso. Se indossavo la gonna, dovevo per forza avere il ciclo, se indossavo i pantaloni allora avrei potuto essere preda”. Maria racconta di essersi opposta con violenza a chi la tratta come “scalpo di pube”: “Non mi sono limitata a dire no, ma ho reagito con una furia indomabile distillando la mia rabbia in un tentativo di dialogo, rintuzzando le profferte e rigirando il discorso fino a far sentire il sedicente padrone che esibiva il suo potere per dirigere alla gloria e al successo il mio destino di giornalista, trattando me come scalpo di pube da aggiungere alla sua collezione, un povero, pusillanime vigliacco”. La giornalista a chi chiedeva prestazioni sessuali rispondeva facendo domande: “A uno di questi ho chiesto se non si faceva un po’ schifo ad approfittare della sua posizione nel domandare una prestazione sessuale in cambio di eventuale avanzamento di carriera mio. E assicuro che messi al muro, si sono sentiti spiazzati e vigliacchi. Due di loro mi hanno raccontato la loro triste infanzia e si sono messi a piangere. Uno mi ha risposto che era consuetudine da che mondo e mondo, e che se donna usciva dalla cucina, il suo regno, avrebbe dovuto aspettarselo”. Ma non solo. “Un giorno un altro, ritornando da una manifestazione, mi aveva dato un passaggio in auto per tornare a Milano, e mi disse: ‘Ti devo chiedere scusa, mi hanno chiesto se ti ho portato a letto, è pur sapendo che non è vero, ho lasciato credere che fosse vero. Mica potevo fare brutta figura. Sono un uomo’”. Infine: “Un altro capo che avrebbe dovuto discutere con me i temi di una rubrica sul suo giornale, mi mise la mano sulla sua patta mentre mi magnificava lo spazio che mi avrebbe concesso”. Maria, ora che è arrivata in pensione, racconta di un mondo che non le sembra molto diverso da quel contesto professionale in cui è cresciuta lei: “Mi sono liberata da questo fango raggiunta l’età della pensione. Ho meno soldi, meno trofei, meno successi reboanti da esibire, ma ho una dignità cristallina che mi tiene compagnia”.

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