“No, non potevo rimanere con le mani in mano. Così, mi sono chiesto cosa potevo fare, io, da artista, di fronte ad una tragedia simile”. Massimo Sansavini ha 56 anni ed è uno scultore, autore e artista forlivese. Dopo i grandi naufragi nel canale di Sicilia a partire dal 2013, è riuscito ad accedere al cimitero delle barche di Lampedusa, l’ex base militare americana Loran, dove vengono portati gli scafi oggetto di confisca da parte delle autorità, e poi distrutti. È stato il primo a ricevere l’autorizzazione dal tribunale di Agrigento, e il primo ad entrare. E, da allora, realizza opere e mostre itineranti con il legno proveniente dalle barche affondate che trasportavano i migranti nel Mediterraneo. “L’arte ha il compito di raccontare in maniera approfondita il mondo del nostro tempo”, spiega.

Tutto è iniziato nel 2013. “Ho cominciato ad interessarmi al fenomeno migratorio in seguito alle notizie delle numerose tragedie nel canale di Sicilia – ricorda Massimo –. In particolare quella del 3 ottobre 2013, quando un’imbarcazione naufragò a poche miglia da Lampedusa, provocando oltre 368 morti e decine di dispersi”. Una delle catastrofi marittime più grandi del XXI secolo. “In quel momento ho cominciato a domandarmi cosa potevo fare per andare oltre le notizie trasmesse dai mezzi d’informazione”.

Ho cominciato a domandarmi cosa potevo fare per andare oltre le notizie trasmesse dai mezzi d’informazione

Il percorso che porta alla scoperta, al lavoro e alla valorizzazione del legno utilizzato dai barconi dei migranti è lungo e complesso. “Appresi che a Lampedusa esisteva un vero e proprio Cimitero delle Barche. Un luogo, insomma, dove venivano portati tutti gli scafi oggetto di confisca da parte delle autorità competenti prima di essere distrutti”. Dopo aver atteso mesi e avanzato numerose richieste, nell’autunno del 2015 Massimo ottiene il nulla osta dal Tribunale di Agrigento: “Potevo finalmente prelevare il materiale custodito. Mai nessuno aveva ricevuto l’autorizzazione prima”.

Così l’artista forlivese comincia a lavorare il legno. Ogni opera racconta un naufragio: cuori, barche, timoni, pesci. E ancora: fiori, stelle, bandiere. Il percorso espositivo, corredato da fotografie e video, ha fatto il suo esordio nel settembre 2016, ai Musei San Domenico di Forlì. Il nome, provocatorio, dell’esposizione è Touroperator, ed è – questa – una delle prima mostre di arte contemporanea realizzate con il legno degli scafi dei migranti.

Quando i visitatori fanno il loro ingresso hanno reazioni di varia natura. Qualcuno si commuove, qualcuno prova rabbia

“Quando i visitatori fanno il loro ingresso hanno reazioni di varia natura – racconta Massimo – Qualcuno si commuove, qualcuno prova rabbia. Nessuno, insomma, rimane indifferente”. Touroperator è arrivata in vari musei e spazi espositivi, in Italia e all’estero.  Dalla sede della Regione Emilia-Romagna a Bologna, da Forlì a Bruxelles, all’interno del palazzo Altiero Spinelli. “Ricordo tanti parlamentari presenti all’inaugurazione che riconoscevano nelle opere uno dei punti di massima debolezza dell’Europa”, aggiunge l’autore.

A Salerno, invece, Touroperator ha fatto tappa alla nuova stazione marittima, disegnata da Zaha Hadid. “Ci trovavamo in concomitanza con lo sbarco di 526 migranti nel porto cittadino: è stato un momento molto significativo. E molto toccante”, ricorda Massimo. L’esibizione di opere realizzate con il legno delle barche dei migranti ha avuto numerosi apprezzamenti, ma allo stesso tempo non sono “mancate critiche, anche molto pesanti. Le domande e i messaggi che la mostra pone ci portano a riflessioni concrete: che Europa siamo? Quale valore diamo alla vita umana?”, spiega l’artista forlivese. “Siamo di fronte, oramai, ad un cambiamento sociale irreversibile”.

Credo che ci si dimentichi facilmente di problemi a cui non si riesce a dare una risposta

Per Massimo l’Italia sulla questione dei migranti “non solo è stata abbandonata, ma trova nei propri partner europei ostacoli e chiusure”. Come l’Ungheria, “che mette in carcere i migranti che entrano nel suo territorio”, la Danimarca “che ai rifugiati siriani voleva chiedere la consegna dei loro monili d’oro per pagare le spese”. O l’Austria, “che pensava a un muro al confine con l’Italia”.

La mostra, comunque, continuerà nel suo percorso itinerante. Prossime tappe Milano, Palermo e Cesena. Massimo ne è convinto: “Dieci anni? Sono pochi per gestire un fenomeno epocale come questo”. Magari con ci saranno più i barconi, e i resti di quegli scafi li vedremo raccontati come opere d’arte o memorie di un momento buio. “Spero che il messaggio sia arrivato forte. Ma credo – conclude Massimo – che allo stesso tempo ci si dimentichi facilmente di problemi a cui non si riesce a dare una risposta. L’arte riesce ad essere efficace in quanto comunica in modo trasversale argomenti che riguardano tutti noi”.

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