Le dimissioni del Primo Ministro libanese, Saad Hariri, da lui stesso annunciate durante un viaggio in Arabia Saudita e motivate con la paura di essere assassinato in patria, creano un nuovo vuoto di potere e rigettano il Libano nel caos politico. Hariri si è poi scagliato contro l’Iran, storico sostenitore dei rivali politici di Hezbollah e colpevole, a suo dire, di un’eccessiva ingerenza nella vita politica del Paese. La tempistica, ad appena poche ore dall’ondata di arresti ordinati dalla neonata commissione anti-corruzione saudita e che hanno coinvolto principi e politici di alto livello, il messaggio lanciato dal premier libanese e il luogo dal quale è stato fatto l’annuncio hanno fatto pensare che dietro vi sia proprio la mano della monarchia di Riyad, con la sempre più influente regia dell’erede al trono Mohammad bin Salman. Una strategia, quella in funzione anti-Iran, che la più grande potenza sunnita del Golfo sta portando avanti cercando di coinvolgere tutti i nemici di Teheran, accusando la Repubblica degli ayatollah di una sempre maggiore interferenza negli affari politici regionali. Il piano di Riyad punta a far scendere in campo anche Israele: “Ma Tel Aviv non ha alcuna intenzione di aprire un nuovo fronte – commenta Gabriele Iacovino, direttore del Centro Studi Internazionali (Cesi) – Il governo Benjamin Netanyahu è troppo debole per uno scontro sul campo e la sua priorità è risolvere la partita siriana”.

Le dimissioni di Hariri hanno colto di sorpresa molti attori politici, tanto quanto la sua nuova nomina nel dicembre 2016, dopo il fallimento del biennio 2009-2011, quando occupò per la prima volta la poltrona di Primo Ministro del Libano. La famiglia Hariri ha legami solidi con l’Arabia Saudita fin dai tempi in cui al governo c’era Rafiq, il padre di Saad. Ma i due governi del leader di Movimento il Futuro sono stati caratterizzati dalla grande alleanza tra la Coalizione 14 Marzo, di cui è a capo, e la Coalizione 8 Marzo, composta, tra gli altri, dal partito cristiano-maronita Movimento Patriottico Libero, con a capo il Presidente Michel Aoun, e dalle espressioni sciite di Amal ed Hezbollah. “Dopo il marasma del 2011 – continua Iacovino – la figura di Saad Harir era stata un po’ messa da parte. Storicamente, però, la sua famiglia veicola i soldi sauditi in Libano e la sua nomina come premier, nel 2016, deve essere letta come un modo per contrastare l’eccessiva influenza di Hezbollah, vicina al Presidente della Repubblica Aoun, e soggetto importante della grande coalizione. In vista delle imminenti elezioni 2018, queste dimissioni, se effettivamente pilotate da Riyad, potrebbero rappresentare un segnale chiaro: ci stacchiamo totalmente da Hezbollah, denunciamo l’ingerenza iraniana e ci candidiamo come vera alternativa alla Coalizione 8 Marzo”.

Nell’immediato, però, la decisione del Primo Ministro apre una nuova crisi politica all’interno del Paese dei cedri e si inserisce nel più ampio piano di accerchiamento pensato dai reali sauditi nei confronti di quei Paesi dove l’influenza dell’Iran è forte. Architetto di questa nuova stagione è l’erede al trono, il 32enne Mohammed bin Salman, che da un anno a questa parte, poco dopo la sua nomina a primo erede da parte dell’82enne re Salman, ha influenzato sempre più le politiche interne ed esterne del Paese, in nome di una rivoluzione economica, politica e sociale riassunta nel piano da lui stesso presentato: Vision 2030. Il primo teatro di scontro con l’Iran rimane lo Yemen. Nel contesto della guerra civile iniziata nel 2015, Riyad ha deciso di supportare militarmente l’allora Presidente in carica Mansur Hadi contro i ribelli sciiti Houti, sostenuti dall’ex Presidente Ali Abdullah Saleh e appoggiati in maniera informale dalla Repubblica Islamica dell’Iran. L’anteposizione tra le due potenze antagoniste si ritrova poi in Siria, con Riyad schierata al fianco della cosiddetta coalizione occidentale, mentre Teheran ha inviato le Guardie della Rivoluzione nel Paese a combattere i ribelli anti-Assad, sposando così la strategia russa volta a proteggere la leadership del Presidente siriano.

Un episodio più recente è quello che riguarda, invece, la decisione di isolare il Qatar dagli altri Paesi del Golfo: scelta, quella degli al-Saud, che doveva essere una punizione nei confronti dei “cugini” meno allineati dell’area, ma che ha portato invece a un avvicinamento di questi alla Turchia e, in parte, anche all’Iran. “Quello che sta accadendo in Libano non è paragonabile all’isolamento del Qatar – spiega Iacovino – Il Libano presenta problematiche ben diverse e articolate rispetto a Doha e storicamente è un Paese che sposta gli equilibri di tutta l’area. Creare caos in Libano vuol dire destabilizzare il Medio Oriente perché gli attori in gioco sono molti. In questo frangente storico, le mire anti-iraniane di Riyad sono supportate da una comunione d’interessi con Washington: la linea della Casa Bianca, anche se in campagna elettorale Donald Trump aveva attaccato anche l’Arabia Saudita, è tornata su posizioni molto critiche nei confronti di Teheran. L’Arabia Saudita ha trovato così una nuova spalla su cui appoggiarsi, grazie anche al ruolo svolto da Jared Kushner, consigliere capo e genero di Trump, molto vicino alla lobby israeliana”. Non è passata inosservata, infatti, la scelta di volare in Arabia Saudita e Israele per la prima trasferta internazionale del neopresidente americano, come anche l’incontro, nei giorni precedenti gli arresti ordinati dalla commissione anti-corruzione, tra Kushner e bin Salman a Riyad.

Proprio Israele è uno dei partner con cui l’Arabia Saudita ha cercato di rafforzare i rapporti negli ultimi anni, tanto che il Ministero degli Esteri di Tel Aviv, secondo le rivelazioni del giornalista israeliano di Channel 10, Barak Ravid, avrebbe inviato un telegramma segreto a tutte le sedi diplomatiche israeliane per invitarle a sostenere le politiche saudite in funzione anti-Iran e anti-Hezbollah. La volontà di Riyad sarebbe quella di coinvolgere lo Stato Ebraico in un vero e proprio conflitto aperto con l’Iran e questa possibilità non tranquillizza gli alleati di Teheran. Non a caso, nelle ultime ore Hezbollah ha deciso di spostare le proprie forze d’élite nel Golan, al confine con Israele. “È possibile che esista questa volontà da parte dell’Arabia Saudita – conclude Iacovino -, ma le possibilità che si arrivi a un conflitto con l’Iran in questo momento mi sembrano decisamente scarse. Innanzitutto, l’Arabia Saudita non ha né le risorse militari né logistiche per affrontare il cosiddetto blocco sciita, verosimilmente sul terreno degli Hezbollah. Può provare a tirare per la giacca Israele, ma lo scarso sostegno interno a Netanyahu e la necessità di risolvere prima le questioni siriane mi portano a escludere questa possibilità”.

Twitter: @GianniRosini

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