La matematica sembra dire che in Sicilia, queste elezioni, non abbiano cambiato nulla. Chi dovesse guardare solo i freddi numeri – lo fanno in tanti e anche così si spiega lo scollamento tra gruppi dirigenti (?) dei partiti e società – potrebbe tranquillamente affermare che i saldi siano identici a 5 anni fa e che solo la composizione e scomposizione delle coalizioni ha consegnato la vittoria a Nello Musumeci. Ma i numeri, certo importanti, non sono niente se svuotati di senso politico.

In Sicilia, infatti, è successo molto. Ad esempio è successo che i 5 anni di presenza massiccia del M5s dentro l’Assemblea Regionale non hanno scalfito i siciliani (oltre la metà) che hanno scelto di non andare a votare. L’astensione, che va letta come disaffezione e soprattutto come cronica sfiducia verso la politica tutta – grillini compresi – rimane il tema centrale. E parla di una rassegnazione profonda. Per la vita di milioni di siciliani e siciliane, quindi, lo strumento del voto viene giudicato inutile. Un dato discusso, male, solo nella surreale notte degli exit e accantonato a dati reali in arrivo.

Queste elezioni ci dicono, anche, che il blocco di potere e di consenso del centrodestra resta immobile e immutato. Cinque anni di governo Pd, le sconfitte nelle principali città siciliane (Palermo, Catania, Messina), la campagna acquisti democratica. Niente di tutto questo ha smontato il consenso dei signori delle preferenze. Anzi. Dati che, probabilmente, dovrebbero dirci che il radicamento delle destre nell’isola non è fatto da clientele e prebende ma è un dato culturale più profondo e che andrebbe aggredito con la politica e, certamente, offrendo un’alternativa senza limitarsi a cooptare (valga come esempio la storia del recordman di preferenze Sammartino oggi nel Pd dopo una lunga storia nella destra siciliana o dell’ex sindaco forzista di Ragusa Dipasquale) pezzi organici del centro destra di Totò Cuffaro.

E proprio il Pd e il suo dato rappresenta una novità. Intanto per la composizione della deputazione eletta all’ARS. Spazzati via gli ultimi eredi dei DS, solo due deputati con passato tra le fila della quercia, il gruppo parlamentare democratico annovera uomini della Margherita e, come dicevamo, i campioni del consenso personale frutto della campagna acquisti nell’epoca, oggi assai lontana, del renzismo trionfante. Sono loro a tenere a galla il dato elettorale del partito di Renzi e saranno loro, scegliendo di abbandonare la nave per far valere i propri consensi dove si decide oppure di restare da dominatori in casa dem, a decidere delle sorti del partito in Sicilia.

Poi c’è la galassia centrista. Spacchettata in liste autonome o ospitata nelle liste dei partiti nazionali. Da decenni sempre gli stessi, cambiando nome e simbolo. E sempre presenti dentro l’assemblea. Con l’eccezione di Angelino Alfano, ridotto a forza extraparlamentare in Sicilia e adesso costretto a scegliere tra il consegnarsi al Pd o elemosinare un ritorno a casa come reietto.

Infine la Sinistra. E qui, forse, c’è il segnale più nuovo e interessante emerso da queste Regionali. Novità rappresentata non tanto dal ritorno – dopo 12 anni – all’Assemblea regionale siciliana. Fatto comunque importante anche in considerazione del lavoro che potrà fare uno come Claudio Fava. In Sicilia si è già rappresentato quello che potrà avvenire nel prossimo futuro nel paese. L’unione non di gruppi dirigenti ma su un progetto e l’apertura verso settori che normalmente non vivono dentro i partiti e menchemeno dentro le liste elettorali produce un dato politico di prim’ordine. Al raddoppio del consenso popolare (3% nel 2012 e 6,2 nel 2017) corrisponde un dato che andrebbe analizzato e che riguarda le grandi aree metropolitane. Lì dove l’impatto dei signori delle preferenze si avverte di meno. Proprio lì la sinistra arriva a far sentire il fiato sul collo al Pd: 7,9 a Messina, 6 a Catania, 7,5 a Siracusa e addirittura 8,6 a Palermo. Oltre a dati straordinari in una provincia come Ragusa dove si arriva addirittura al 10%. Un voto libero che ha premiato un progetto nato quasi a scadenza di tempo utile e che ha dovuto subire, speriamo per l’ultima volta, il ricatto falso del voto utile.

Se da questi dati partirà la capacità di restituire senso e speranza a mezza Sicilia è presto per dirlo, ma dalla Sicilia parte un messaggio abbastanza chiaro: o l’alternativa è credibile e capace di non vivere come puro cartello elettorale oppure, per questo paese, si aprirà una stagione in cui la sinistra sarà spettatrice immobile. Una bella sfida.

Nota di trasparenza: sono stato coordinatore della campagna elettorale di Claudio Fava 

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