La storia controversa delle domeniche a piedi in Italia si arricchisce di un nuovo capitolo: la clamorosa retromarcia della Giunta di Torino che a stretto giro ha annunciato il calendario delle domeniche ecologiche estese su tutta la città per poi specificare che il provvedimento vale e varrà solo per il centro storico (zona ztl). All’amministrazione è bastato un solo giorno di polemiche da parte di alcune sigle di commercianti, dopo che erano stati diffusi gli avvisi e l’ordinanza per questa domenica, 17 settembre.

Era stata proprio la Giunta Appendino a resuscitare dall’oblio la vera domenica ecologica – quella estesa a tutta la città, sia pure con alcune eccezioni di assi di scorrimento periferici – e a realizzarle con l’assessora all’Ambiente, Stefania Giannuzzi, a marzo e ad aprile. Milano nel frattempo le aveva già sepolte e dimenticate (l’ex sindaco Pisapia le ha fatte e vantate per quasi due anni, poi le ha affossate). La partenza del nuovo ciclo di blocchi domenicali a Torino – col calendario fino alla fine del 2018 – sembrava coerente sia con l’intenzione di cominciare a fermare i diesel euro 4 quando ci sarà più smog (Nuovo protocollo padano) sia con le idee e i progetti di socialità urbana e sostenibile fuori dal centro. Inoltre poteva mettere in luce il modello torinese a livello nazionale, come quello di una città che riscopre e valorizza l’attenzione per l’ambiente.

Sorprende quindi l’improvvisa retromarcia, che tale è, perché l’area del solo centro storico è molto più piccola e già parzialmente pedonalizzata. Per chi le ha osservate attentamente negli anni, e vissute per strada, al netto delle proteste che le precedono, sono un momento straordinario di “mondo alla rovescia”, di pace, di socialità urbana di poesia. Così era stato anche a marzo e aprile di quest’anno a Torino.

Il problema – verificabile storicamente fin dall’anno 2000 quando con il ministero di Edo Ronchi sono cominciate le domeniche ecologiche – è che il dissenso di chi ne subisce disagio si fa sentire di più del consenso di chi le apprezza. A godersi il momento di liberazione è una maggioranza popolare variegata ma è una maggioranza silenziosa. I contrari fanno rumore. E soprattutto l’analisi e la gestione delle richieste di deroga è impegnativa. E’ curioso e un po’ triste che il primo ostacolo al calendario (poi abortito) sia venuto in nome di Artissima, manifestazione culturale e appunto artistica che a quanto pare non riesce a immaginarsi con uno stop di 8 ore alle marmitte.

Suppongo che nel giro di poche ore siano finite sul tavolo della sindaca tutte le difficoltà dell’impresa – compresa ovviamente la necessità di impegnare molti vigili con gli straordinari – e che quindi sia prevalso il classico “chi ce lo fa fare?”. Lo stesso ritornello – sul punto specifico – che è per lo più prevalso negli anni nelle giunte a traino piddino delle grandi città dopo la stagione iniziale. Non si è neanche tentato di discuterne pubblicamente in modo razionale, di cercare risorse umane, di immaginare soluzioni intermedie ma che salvino almeno l’effetto del grande momento di liberazione su vasta scala (ad esempio limitare il blocco alle quattro ore pomeridiane più frequentate).

Possiamo sperare che lo si faccia più avanti? L’assessora al Traffico, per spiegare la retromarcia, ha detto che su tutta la città non sarebbero possibili controlli efficaci di rispetto del blocco del traffico. Ma l’ordinanza per il blocco totale del  17 settembre era già firmata dalla sindaca, identica a quelle attuate a marzo e aprile! Apparentemente sorprende anche che il solito fronte degli oppositori della Giunta Appendino non si sia scatenato a stigmatizzare la goffaggine della retromarcia: ma in genere non sono ambientalisti né tantomeno amanti delle domeniche a piedi quindi sono sollevati anche loro. Così – se viene sconfitto persino dove governano i trentenni – quell’effetto straordinario e liberatorio momentaneo di città senz’auto rischia di rimanere nei nostri ricordi come un’eclissi di sole.

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