Rinviare l’aumento dell’età pensionabile metterebbe a rischio l’intera tenuta del sistema. E’ la posizione della Ragioneria generale dello Stato, che entra così nel dibattito sull’attuazione della riforma Fornero in base alla quale dal 2019 l’uscita dal lavoro dovrebbe arrivare per gli uomini a 67 anni, contro i 66 anni e 7 mesi attuali. Dopo la mobilitazione dei sindacati, che si sono appellati al governo chiedendo un intervento diretto e immediato per rimandare lo scatto e il “no comment” del ministro del Lavoro Giuliano Poletti che ha rimandato il problema all’autunno, sulla questione si erano già espressi i presidenti delle commissioni Lavoro di Camera e Senato Cesare Damiano e Maurizio Sacconi, con la richiesta di un intervento immediato e tempestivo da parte delle istituzioni per disinnescare il prossimo “scatto” previsto dalla riforma.

Nel rapporto ‘Tendenze di medio-lungo periodo del sistema pensionistico e socio sanitario’, aggiornato al 2017, si legge che interventi di legge “diretti non tanto a sopprimere esplicitamente gli adeguamenti automatici” sulle pensioni, inclusi gli scatti di età, “ma a limitarli, differirli o dilazionarli, determinerebbero comunque un sostanziale indebolimento della complessiva strumentazione del sistema pensionistico italiano”. In particolare “ritornare nella sfera della discrezionalità politica” determinerebbe un “peggioramento della valutazione del rischio paese”. Sempre secondo la Ragioneria, il requisito per il pensionamento di vecchiaia, anche in presenza di un blocco dell’adeguamento automatico alla speranza di vita, “verrebbe comunque adeguato a 67 anni nel 2021, in applicazione della specifica clausola di salvaguardia introdotta nell’ordinamento su richiesta della Commissione e della Bce, e successivamente mantenuto costante a tale livello”.

“Il processo di elevamento dei requisiti minimi e il relativo meccanismo di adeguamento automatico” sulle pensioni sono “dei fondamentali parametri di valutazione dei sistemi pensionistici specie per i paesi con alto debito pubblico come l’Italia”, si legge nel report. “Ciò non solo perché” la previsione di requisiti minimi, come quelli sull’età, è “condizione irrinunciabile” per “la sostenibilità, ma anche perché costituisce la misura più efficace per sostenere il livello delle prestazioni”. Da quanto emerge nel report, lo stop all’adeguamento secondo la Ragioneria porterebbe con sé non solo l’inevitabile aumento della spesa previdenziale, portando prima le persone in pensione con un incremento delle spese per prestazioni, ma anche una diminuzione del tasso di sostituzione, cioè il rapporto tra la pensione incassata e l’ultimo stipendio percepito.

Lo slittamento “determinerebbe un abbattimento crescente nel tempo dei tassi di sostituzione fino a raggiungere, alla fine del periodo di previsione, 12,8 punti percentuali per un lavoratore dipendente e 10 punti percentuali per un lavoratore autonomo, con conseguente peggioramento anche dell’adeguatezza delle prestazioni pensionistiche rispetto alla normativa vigente”.

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