Il 30 giugno scorso è scaduto il termine per richiedere l’Aic (Autorizzazione per l’Immissione in Commercio) dei cosiddetti “medicinali omeopatici”. I prodotti senza questa certificazione non potranno più essere venduti. Per ottenere l’Aic basta presentare una documentazione (in buona parte tramite autocertificazioni) sulla provenienza dei materiali di partenza e dimostrare che il preparato sia ragionevolmente sicuro.

Che cosa cambia per i consumatori? In fondo, l’acqua e lo zucchero sono sempre acqua e zucchero, Aic o meno. Tanto valeva allora tenersi tutti i “medicinali omeopatici”, nei quali la differenza sostanziale è il nome di fantasia (in latinorum) sull’etichetta. Tuttavia, se qualcuno prepara “male” (cioè senza una diluzione adeguata) il “mercurius solubilis” (una soluzione di nitrato di mercurio in cui il “metallo pesante” è in quantità paragonabili a quello presente nei vaccini, ovvero solo il fondo ambientale dell’acqua), oppure “tubercolinium” (una coltura derivata dallo sputo di un malato di tubercolosi), questi potrebbero causare danni diretti eccome, che sono anche documentati nella letteratura scientifica.

Quindi, si può tollerare che si venda acqua e zucchero a chi ci crede, sperando che non finisca nelle mani di medici senza scrupoli che con l’omeopatia tentano di curare tumori e otiti gravi, ma è giusto che questa acqua e zucchero sia venduta senza schifezze dentro. È bene ribadire che la richiesta di Aic è una documentazione che riguarda la sicurezza, non l’efficacia, e che non comporta alcun “riconoscimento ufficiale” da parte delle istituzioni pubbliche come qualcuno vorrebbe insinuare.

Alcuni manager di Big Homeo non hanno perso l’occasione per mettere a frutto il migliaio di euro che hanno dovuto tirare fuori per ciascun prodotto, cercando un po’ di visibilità mediatica (è il loro lavoro). Giovanni Gorga, il presidente di Omeoimprese, forse preoccupato per il calo delle vendite di prodotti omeopatici (ben -4.8% nel 2016 rispetto al 2015, ecco a cosa serve ribadire che quella roba è acqua e zucchero) sostiene che adesso i preparati omeopatici sarebbero diventati “farmaci per legge”Silvia Nencioni, ad di Boiron, auspica una “battaglia” per aggiungere “indicazioni terapeutiche” su questi prodotti.

L’associazione dei medici australiani ha recentemente analizzato la letteratura scientifica disponibile per i prodotti omeopatici, concludendo che non esiste alcuna condizione di salute nella quale se ne abbia una qualsiasi utilità.

Prima di affermare che un farmaco sia efficace in una determinata patologia, questo deve passare attraverso numerosi test. Inizialmente si eseguono gli studi sugli animali, che servono per avere un’idea della sua farmacocinetica (come il farmaco è assorbito e si distribuisce nel corpo) e della sua tossicità. Successivamente, si testa il farmaco sull’uomo. I primi a cui è somministrato il farmaco sono dei volontari sani (fase clinica I). Si passa quindi a un gruppo ristretto di malati (fase clinica II) per avere una qualche indicazione dell’effetto terapeutico. Se i risultati sono ancora promettenti, si passa a uno studio esteso, che riguarda migliaia di pazienti (fase clinica III).

Tutte le cartelle cliniche devono essere conservate e inviate all’agenzia regolatoria nazionale al fine di valutare possibili effetti collaterali rari i quali potrebbero non evidenziarsi in un gruppo piccolo. La spesa per tutta la sperimentazione clinica può ammontare a cifre dell’ordine delle centinaia di milioni di euro.

Se un’impresa che produce un medicinale omeopatico desiderasse porre delle indicazioni terapeutiche sui suoi prodotti non servirebbe nessuna “battaglia” o “permesso”. Basterebbe eseguire i passaggi descritti sopra, come richiesto per qualsiasi altro farmaco. È un processo costoso, tuttavia indispensabile per provarne sia l’efficacia che la sicurezza. A quel punto, il medicinale omeopatico potrà essere anche eventualmente rimborsato dal servizio sanitario nazionale. Non è elegante chiedere “corsie preferenziali” per l’acqua e zucchero rispetto ai farmaci per davvero.

In ogni caso, il prezzo elevato richiesto per i medicinali omeopatici potrebbe avere una sua utilità. Un recente studio sui malati di Parkinson ha valutato l’effetto di un placebo (spacciato ai volontari per un farmaco efficace dal costo di 100 dollari) verso un gruppo di persone che riceveva L-Dopa, un farmaco impiegato in questa patologia. Entrambi i gruppi di pazienti sono migliorati, ma i risultati del test in doppio cieco indicavano chiaramente che il farmaco vero era nettamente superiore. Al gruppo placebo è stato sostituito quello che loro credevano essere il medicinale da 100 dollari con un altro che sarebbe costato adesso 1500 dollari, ma che in realtà era ancora lo stesso placebo. Risultato? Il farmaco vero era ancora superiore, ma adesso il “placebo costoso” si avvicinava significativamente in termini di efficacia.

Il costo dell’Aic sarà con ogni probabilità scaricato sui consumatori di prodotti omeopatici. I consumatori avranno dei prodotti ancora inutili ma pagandoli di più ne potrebbero trarre maggiore giovamento. Inoltre, i preparati saranno maggiormente controllati dal punto di vista della sicurezza. Bene che finalmente si applichi la normativa dopo tanti rinvii chiesti dalle lobby pro-omeopatia, che sarà un caso, ma sono più o meno costituite dalle stesse persone che insinuano che nei vaccini ci sia chissà che cosa. Vaccini “puliti” e omeopatici “non importa”?

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